Il gioiello Unesco dei Caraibi affascina e stupisce per i suoi contrasti.
La canoa di legno scivola silenziosa sull’acqua bassa, quieta. Si addentra nei canali formati da rigogliose mangrovie, vere e proprie gallerie di foglie che regalano un po’ di frescura, riparando dall’infuocato sole caraibico.
Laddove la vegetazione si dirada lasciando spazio a piccole pozze un po’ più profonde, i pescatori gettano, con movimenti armoniosi ed eleganti, le loro reti. Le issano pochi minuti dopo.
Solo qualche granchio zampetta alla ricerca della libertà. La brezza che oggi soffia leggera da Nord tiene i pesci lontani, spiegano. Nel mare corallino, oltre la laguna, nella baia tra gli isolotti.
Nuotano attorno ai relitti delle navi affondate dai pirati che hanno infestato queste acque durante il periodo coloniale spagnolo.
Nomi leggendari, come Francis Drake e John Hawkins. Ma per sentire il boato dei cannoni bisogna lasciare La Boquilla e tornare verso la città.La luce del tramonto regala sfumature irreali mentre il sole si sta per tuffare nell’acqua, proprio di fronte alla lunga spiaggia che congiunge questo villaggio afrocaraibico alla parte moderna di Cartagena de Indias.
Sul profondo arenile passeggiano persone, si muovono auto e moto, persino autobus di linea. Una sosta sotto una tettoia di canna e legno permette di incontrare un giovane gruppo di musicisti locali che, con entusiasmo e allegria, tenta di insegnare non solo a suonare gli strumenti della tradizione, ma anche a ballare con un ritmo per noi davvero difficile da imitare.
Quello che più stupisce è apprendere che ogni passo, ogni movimento ha un significato.
Queste danze scatenate e forse ancestrali infatti, simboleggiano momenti particolari della vita di ogni essere umano: la nascita, la morte, la fine della pubertà.
Proseguiamo in direzione del centro attraversando la parte moderna di Cartagena.
Grattacieli, hotel dotati di tutti i comfort, negozi, bar e ottimi ristoranti prendono il posto delle modeste e colorate abitazioni dei pescatori.
Lo stupore per il brusco cambio di paesaggio non ci ha ancora lasciato, quando davanti ai nostri occhi una massiccia muraglia comincia a costeggiare la strada sulla sinistra.
I torrioni aggettanti si stagliano truci contro il cielo e sembrano scrutare il mare, in attesa forse dei fantasmi di quei bucanieri contro i quali furono costruiti.
Sulle mura, invece, ragazzi e ragazze si scambiano effusioni, parlano, ballano, ridono. Anche loro guardano l’acqua ormai tinta di arancio dal sole che vi si immerge.
Loro non vedono fantasmi, vivono romanticamente l’attimo di poesia che regala la natura. E’ una consuetudine salire lassù a guardare il tramonto, qui a Cartagena.
Per i suoi allegri e cordiali abitanti, prima ancora che per i turisti. Turisti che restano letteralmente affascinati dal centro storico racchiuso tra queste mura, che fanno parte del sistema di fortificazioni più importante del sud-america.
Basta entrare per capire perché l’Unesco, oltre ad averla dichiarata patrimonio dell’Umanità, l’ha giudicata una delle città più belle del mondo.Ci si perde in queste stradine con colorate case coloniali, patii, chiostri, chiese, conventi, palazzi.
Lo sguardo è attratto verso l’alto dove lussureggianti cascate di fiori scendono da balconcini di legno intarsiato.
Le viuzze, percorse da carrozzelle trainate da fieri cavalli, sono un’altra esplosione cromatica. Le bancarelle di frutta e di succhi tropicali, si alternano ai tavolini dei locali pubblici e alle coperte su cui sono proposti gli originali oggetti dell’artigianato locale.
E poi le piazze. Qui ai colori si aggiungono i suoni. In Plaza Bolivar, sotto il monumento al Libertador, proprio davanti al Palazzo dell’Inquisizione, un allegro gruppo di suonatori e ballerini si scatena al ritmo della salsa, lo stesso che risuona vicino alla triangolare Plaza de los Coches, dove sorge uno dei locali più famosi della città per le danze latino-americane.
Tuttavia, siccome Cartagena è la città dei contrasti, non è possibile dimenticare che proprio in questa piazza, in un tempo per fortuna lontano, si teneva il mercato degli schiavi deportati dall’Africa.
Gli stessi che assistette per tutta la sua vita il monaco spagnolo Pedro Claver, a cui è dedicata la splendida chiesa di San Pietro, nell’omonima piazza, costruita in pietra corallina. Lo stesso materiale è stato utilizzato per la fortificazione della città, che culmina nel Castillo San Felipe de Barajas. La monolitica struttura ricca di torri, sotterranei, scale, passaggi segreti domina la città e sembra ancora proteggerla.
Dalla sua cima, cosparsa di cannoni, lo sguardo spazia su tutta la baia. La lingua di terra strappata al mare su cui sorgono gli edifici più moderni, il centro storico racchiuso dalle mura, le casette colorate, le cupole delle chiese, i ponti, gli isolotti, la laguna. E al di là di tutto, lo splendido mare caraibico. Proprio quassù tornano alla mente le parole del premio Nobel per la letteratura Gabriel Garcia Marquez che a Cartegena abitò e dove c’è ancora la sua casa: “A Cartagena de Indias ogni cosa è diversa.
Questa solitudine senza tristezza, questo oceano incessante, questa immensa sensazione di essere arrivato”. E sono arrivati in tanti, qui, a Cartagena, nel corso dei secoli.
Prima gli indigeni Kalamarì, fondatori della città, sterminati dagli spagnoli. Poi gli spagnoli, appunto, che da qui facevano partire, direzione Europa, i galeoni carichi di oro, di pietre preziose (razziati alle tribù locali dell’intera Colombia) e di schiavi.
La fama di “Porta dell’Eldorado” costò molto alla città che, come dicevamo, subì numerosi assedi e attacchi da parte di filibustieri e pirati senza scrupoli, ma più di una volta resistette strenuamente e stoicamente. I suoi abitanti, gli avi di coloro che adesso accolgono gli stranieri con la loro allegria e la loro ospitalità, difesero con eroismo il loro gioiello caraibico più importante, la “Ciudad Amurallada” regalandoci la possibilità di poterla visitare. E di non poterla dimenticare.
Lascia un commento