Uno dei libri che quando ero più giovane ho letto e riletto è “L’albergo delle donne tristi” di Marcela Serrano.
Al di là dell’argomento, sempre attuale, che racconta delle cicatrici del disamore ed esplora le ombre dell’animo femminile, quello che più mi aveva colpito era la descrizione dei paesaggi in cui il libro è ambientato.
L’Isola di Chiloè. Ed era da allora, qualche decennio fa, che mi ero riproposta di andarci. L’Isola di Chiloè, o meglio, l’arcipelago di Chiloè, è nel Sud del Cile.
Ci si arriva con un traghetto da Puerto Montt, almeno fino a che il ponte che stanno costruendo non sarà ultimato.Appena si sbarca, nei pressi di Ancud, si è catturati dalla luce e dai colori, quasi irreali. E soprattutto da un senso di pace e di leggerezza.
Un paesaggio, direi, femminile. Forse non a caso, difatti, anche le creature della ricca mitologia dell’Isola, sono donne.La Pincoya, dea marina della fertilità, che danza seducente e che predice il destino a seconda di dove volge lo sguardo: abbondanza se guarda il mare, disastri se guarda la terra. E poi c’è la nave fantasma, Caleuche.
Appare e sparisce tra le onde ed è abitata da streghe che ammaliano gli uomini cattivi e li rendono folli.
Chiloè è anche ricca di storia e di storie. Quelle dei balenieri, per esempio, che qui arrivavano trovando porti sicuri.Cantati non solo da Melville, ma anche da Francisco Coloane che proprio su quest’isola è nato, vicino a Quemchi, dove è possibile visitare una casa-museo a lui dedicata. Pare che lo stesso grande scrittore abbia dichiarato che è stata proprio la nostalgia per le sue isole e per il mare che le circonda ad averlo spinto a scrivere. “Le onde del mare di Chiloè, all’alba, si trasformano in schiuma di tutte le onde, in onde di tutti i mari”.
C’è poco da aggiungere a queste parole di Marcela Serrano. E’ proprio vero.
Uno degli spettacoli più incredibili è infatti quello che ci regala all’alba (ma anche al tramonto) l’inesorabile movimento delle maree.
Salgono e scendono due volte al giorno, veloci e inarrestabili. E’ bello stare ad osservarle sulle lunghe e deserte spiagge bianche, quando con il loro fluire fanno perdere il senso di orientamento.
Tutto si confonde, sulla sabbia appena coperta da un velo di acqua, si rispecchiano i cieli infiniti di questo Sud del mondo. E mentre si cammina, sprofondando leggermente, sembra che l’orizzonte scompaia, circondati da una luce surreale, quasi mistica. Ma le maree è bello guardarle anche sui palafitos di Castro, la capitale di Chiloè.Sono case-palafitta coloratissime, sorrette da pali di legno, ora in parte sommersi, ora all’asciutto. Le pareti esterne dei palafitos sono ricoperte di tejuelas, tegole di legno pitturate di giallo, rosso, verde, azzurro, blu, viola, marrone, bianco. Quando il sole è basso all’orizzonte, i colori si illuminano e si riflettono nelle maree.
E così anche il mare si colora in un gioco di luci e ombre dai profili tremolanti. Scandole gialle e viola ricoprono anche la cattedrale della città, la più grande delle oltre 150 chiese dell’isola. Già, perché Chiloè è piena di chiese e chiesette, tutte rigorosamente in legno di alerce, i larici delle foreste locali.
La loro costruzione si deve prima ai gesuiti e poi ai francescani.Le più vecchie hanno il tetto di paglia. Sono sparse ovunque, nei villaggi, ma anche in luoghi solitari e suggestivi. Risalgono per lo più al XVIII-XIX secolo e sono talmente particolari da essere state dichiarate patrimonio dell’Umanità dall’Unesco.
Nel mio girovagare,attraversando foreste e verdi colline, ho raggiunto Quellon, la punta più meridionale dell’isola.
Da qui si vedono benissimo le imponenti vette innevate dei vulcani della terraferma patagonica, che si stagliano contro il cielo blu, terso. Qui, due enormi bandiere sventolano spinte dagli impetuosi venti del Sud: quella del Cile e quella dell’Alaska.Dell’Alaska? Cosa ci fa qui la bandiera dell’Alaska, mi domando. E’ qui perché, come recita un cartello, qui finisce (o inizia) la Carretera Panamericana, che parte da Ancorage, in Alaska, e arriva appunto a Quellon.
Più di 21 mila chilometri attraverso il continente americano. Emozionante.
Per l’ultima sera a Chiloè mi concedo un curanto.E’ il piatto tipico dell’isola: carne, pesce, frutti di mare, legumi e verdure vengono cotti insieme in buche riscaldate da pietre arroventate. Una vera bomba, ma vale la pena di assaggiarlo. Me lo serve una signora che con aria truce mi chiede se mi è piaciuto e mi annuncia che domani pioverà.
Piove spesso a Chiloè e proprio forse per questo, per contrastare i nuvoloni neri che si addensano nel cielo scontrandosi con le vicine Ande, gli abitanti dell’isola hanno deciso di colorare così vivacemente le loro case e le loro chiese.
Piove spesso, ma io in realtà, ho solo visto un sole infuocato in un orizzonte infinito.
Mentre il traghetto mi riporta a Puerto Montt, là, verso il mare aperto, lontano, tra i marosi spumeggianti, mi pare di intravvedere una nave che sale e scende tra le onde. Sul ponte donne, tante donne, bellissime.
Sarà il Caleuche? Non so, non mi riguarda.Certamente non faranno diventare folle me. A preoccuparsi devono essere gli uomini sul traghetto, ma solo quelli cattivi.
Chiloè si allontana con i suoi struggenti e primordiali paesaggi, le sue chiesette e le sue palafitte.
Per la cronaca, l’albergo delle donne tristi che dà il titolo al libro di Marcela Serrano non l’ho trovato. In compenso non vorrei che la nostalgia per quest’isola femmina, dove in realtà le donne sono tristi come in tutto il mondo, non cogliesse anche me.
Con infinito rispetto per il grande Coloane.
5 Commenti
Bella e struggente la presentazione dell’isola patagonica. Leggero’ e aggiungerò alla mia biblioteca il libro della serrano avendo letto tutte le opere di coloane.
Chissà se un giorno potrò visitare la fine del mondo patagonico.
grazie Fabio per il tuo commento! Se un giorno vorrai visitarla noi siamo qui per aiutarti a creare il viaggio ideale.
Sarei curioso di conoscere la fede in DIO degli abitanti dell isola e quanti pastori sisno presenti
Ci siamo stati, nel 1996, in viaggio di nozze, ricordo gli innumerevoli gabbiani, vicino agli allevamenti di salmoni, che mi dicono ormai spariti ed un cimitero coloratissimo in maniera surreale. Il traghetto piccolissimo ed un bambino di nome Ignacio come me
Grazie Ignazio per aver condiviso con noi questo bellissimo ricordo 😉