E’ stato forse l’ultimo dei grandi esploratori della Patagonia e della Terra del Fuoco.
Il salesiano Padre Alberto Maria De Agostini (Pollone 1883 – Torino 1960), fratello di Giovanni, fondatore dell’Istituto Geografico novarese che da lui prese il nome, ha vissuto gran parte della sua vita nell’estremo Sud dell’America latina, lasciandoci testimonianze uniche su zone ancora all’inizio del 1900, poco conosciute, se non del tutto ignote.
Scrittore, geografo, fotografo, alpinista, antropologo ha alternato il suo lavoro di insegnante nelle missioni salesiane, all’attività esplorativa. Ci ha lasciato 60 libri, decine di film, migliaia di fotografie, attraverso i quali possiamo conoscere i luoghi, le montagne, i ghiacciai, la flora e la fauna di quella terra alla fine del mondo, solo successivamente divenuta un mito letterario e forse anche una moda.
Uno spazio sterminato e ventoso, ostile e incantato, una delle poche zone sulla terra che ha saputo, e ancora oggi sa, trattenere dentro di sé il sapore della libertà e dell’ignoto.
Ma “padre Patagonia”, come è stato soprannominato, ha anche un altro merito, forse il più importante: quello di avere contribuito a ricordarci che quelle terre sono state la patria di genti autoctone.
Esploratore dunque non solo di terre, ma anche e soprattutto di uomini. Uomini vittime di un vero e proprio genocidio perpetrato dagli europei che hanno invaso e colonizzato il loro territorio, come allevatori, balenieri, cercatori d’oro, commercianti, avventurieri.
Uno sterminio di cui Padre Agostini è stato testimone.
Contro il quale ha manifestato indignazione e ha avuto il coraggio di schierarsi, prendendo la parte del più debole e denunciando.
I Tehuelches, gli Onas, gli Haush, gli Yaganes, gli Alacalufes che non sono stati trucidati, sono comunque morti per le malattie portate dagli “uomini bianchi”.
Se Padre Patagonia non ha potuto evitarne la morte, ha il grande merito di averli salvati dell’oblio. Queste fotografie ci mostrano i volti e i modi di vivere di quei popoli e nello stesso tempo ci incantano con paesaggi selvaggi e magici che, a differenza dei primi, sono ancora lì, alla fine del mondo.
Lascia un commento