Ladakh, ultimo Shangrila dove tra montagne di oltre 6000 e 7000 metri si ergono meravigliosi monasteri, dune di sabbia che si stagliano contro ai ghiacciai, laghi d’alta quota dalle acque turchesi, e monaci buddhisti che cantano antichi mantra, Om Mani Padme Hum, lanciati verso al cielo per raggiungere il Nirvana.
Atterrare a Leh, capoluogo del Ladakh situato a 3500 metri di altitudine, vale già tutto il viaggio.Dopo un’ora sospesi sulle nuvole l’aereo si abbassa fino a sfiorare i fianchi delle montagne. A un passo dal cielo le alte vette di oltre 6500 metri offrono uno spettacolo di formidabile solennità: infinite vallate rocciose su cui svettano argentee cime innevate; contrasti tra la verde vegetazione delle valli più basse e le dune del deserto d’alta quota; fiumi imponenti che si insinuano tra le rocce e laghi turchesi; strade sinuose che scalano i più alti passi carrozzabili del mondo (oltre i 5600 metri) e monasteri buddhisti arroccati nei luoghi più impervi dove i monaci si ritirano in meditazione.
L’aereo si abbassa e con un’ampia virata si immette nella Valle dell’Indo; alcune oasi verdi e gialle qua e là, il fiume che scorre impetuoso: l’aereo scende dolcemente fino a toccare (quasi) i tetti dei monasteri in prossimità dell’aeroporto di Leh dove, con una manovra di atterraggio a vista, poggia le ruote in un dolce tentativo di carezza sull’asfalto. La corsa rallenta, il cuore accelera, l’emozione è forte. Siamo in Ladakh! L’Himalaya è questo ed altro ancora.
Himalaya, dimora delle nevi, luogo mitico degli Dei, il cui solo nome suggerisce devozione, sacralità e sfida. La difficoltà nel percorrere sentieri e strade di montagna ad alta quota, ha fatto si che il Ladakh, isolato dal resto del mondo, si preservasse nel corso dei secoli dalla contaminazione con altre culture (è stato aperto al turismo soltanto nel 1974) e ancor oggi il Paese si presenta integro e fortemente legato alle tradizioni locali e alla religione buddhista.
Soprannominato il Piccolo Tibet per via dei suoi numerosi monasteri, e del suo legame storico e culturale con il Tibet, il Ladakh custodisce i più importanti tesori dell’arte buddhista himalayana; è qui infatti che si è diffusa la dottrina del Buddha, “colui che è risvegliato”, ed è qui che hanno trovato dimora i lama che seguono la filosofia per raggiungere il Nirvana, la liberazione dall’illusione dei desideri del mondo materiale e l’innalzamento dello spirito.
Attraversare il Ladakh significa perdersi tra le sue innumerevoli valli isolate ed entrare in contatto con silenzi assordanti per quanto immensi, in grado di metterci in contatto con mondi interiori a noi sconosciuti.
Lasciarsi attraversare dal suono del vento e dei canti dei monaci, farsi ammaliare da una luce nuova per tanta purezza dell’aria, che ravviva i colori e ce li rende con gli occhi di chi guarda per la prima volta, oppure lasciarsi travolgere dal senso filosofico e fisico di infiniti spazi da colmare.
La Valle dell’Indo, punteggiata di gialle oasi di colza, è una scoperta piacevole dove i monasteri, arroccati e imprendibili, diventano obiettivo da raggiungere quotidianamente con passeggiate a piedi accompagnati da bambini vocianti: Tiksey, Stakna, Matho, Insa, Disket, Alchi, Lamayuru, Cheemre ed Hemis, sono soltanto i più famosi tra i monasteri del Ladakh. Ma ciò che davvero conquista e attrae è la serenità, e la semplicità, dei monaci che li abitano, che li curano e che li colmano di significato.
Il significato più alto lo si raggiunge cogliendo l’occasione di vivere, in un viaggio anche interiore, uno dei famosi festival buddhisti: il Festival di Hemis, esperienza unica e autentica. Durante il festival religioso la piccola valle di Hemis a 3800 metri si riempie di visitatori e pellegrini buddisti provenienti da tutto l’arco himalayano.
Per più giorni, sul cortile centrale del monastero, i monaci buddhisti con costumi e maschere tradizionali, al suono di tamburi, cembali e trombe, intonano i mantra sacri ed invocano le divinità buddhiste contro le forze del male.
Poi avviene qualcosa di straordinario.
Sulla facciata del monastero viene esposto il Thangka che raffigura Guru Rinpoche (il monaco guerriero artefice della diffusione del buddhismo sull’Himalaya), ed i fedeli si accalcano per colmare di un significato a noi estraneo il loro cuore, godendo dello sguardo sacro del grande lama: sguardo che libera e illumina il sentiero buddhista.
È in questo momento che si entra in una dimensione trascendentale dove ancora una volta tutto trova collocazione e si spiega; perché in India tutto si spiega alla luce di qualcosa che trascende il mondo terreno e ci consegna al divino, al misterioso e necessario rapporto tra gli Dei e gli uomini.
Se attorno a tutto questo consideriamo il fatto che siamo a 4000 metri sull’Himalaya, a un passo dal cielo, tutto assume una dimensione mistica e piacevole tipica del Ladakh.
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