La piccola barca a motore salta sulle acque turchesi e cristalline, appena increspate da un po’ di vento.
Lo sguardo si perde sui picchi innevati che mi circondano. Sono sul Lago Buenos Aires-General Carrera, un enorme bacino a cavallo di Cile e Argentina, il cui doppio nome è dovuto proprio al fatto che bagna due Stati.
Tra i più profondi al mondo, questo lago è formato dalle acque glaciali e riflette il cielo terso, color cobalto, della Patagonia.
Il risultato è una luce magica, irreale. Mi sono imbarcata a pochi chilometri da Puerto Rio Tranquillo, un piccolo paesino ai piedi delle Ande, sperduto in una terra selvaggia e affascinante. Pochi minuti di navigazione e uno spettacolo incredibile e inaspettato mi riempie gli occhi e il cuore.
Il Santuario de la Naturaleza Capillas de Marmol appare all’improvviso. Una vera e propria opera d’arte della natura. Che stupisce e affascina per l’eleganza delle forme e dei colori.
Il Santuario è l’insieme di diverse formazioni rocciose aggrappate alla costa e di alcuni piccoli isolotti.
L’erosione dell’acqua e del vento, in migliaia di anni, ha modellato e plasmato il carbonato di calcio, formando grotte, volte, pilastri e guglie.
L’opera di un insuperato architetto, la natura. La piccola barca entra negli anfratti mormorei, tra linee sinuose e policrome.
Lisce e dai riflessi sorprendenti, le pareti de ‘La Cattedral’ e de ‘La Capilla’, le due formazioni più famose, si lasciano toccare, prima di inabissarsi nelle acque di questo gioiello poco conosciuto. I loro nomi sono mutuati da luoghi sacri ed in effetti il misticismo avvolge questo luogo sorprendente.
E’ la Patagonia che non ti aspetti. Da Puerto Rio Tranquillo lascio le sponde del lago per raggiungere un’altra meta entusiasmante: il Monte San Valentin. Una nuova strada, non ancora terminata, percorrendo la valle Exploradora, arriverà fino alla Laguna San Rafael.
Per ora uno sterrato polveroso si inerpica tra foreste primordiali e laghi dai colori stupefacenti.Nelle acque gelide si specchiano picchi, vette innevate, ghiacciai pensili e cime rocciose.
La fucsia magellanica regala macchie di rosso e viola a un ambiente in cui tutte le sfumature di verde si alternano ai turchesi delle acque. Mi inoltro in questa vallata che si fa sempre più stretta.
Gli “alamos”, i pioppi che, in questo autunno patagonico, con il giallo delle loro foglie, segnalano la presenza di un’estancia, lasciano il posto alle conifere, tra cui le araucarie del Cile, e alle felci.
Arrivo all’ingresso del Parco Nazionale Laguna San Rafael, dichiarato riserva mondiale della biosfera dall’Unesco. Lasciata l’auto percorro un breve sentiero che si inerpica su massi morenici. Al termine della salita, lo spettacolo davanti ai miei occhi è di una straordinaria bellezza.
Una terrazza naturale si affaccia sul ghiacciaio del Monte San Valentin, che con i suoi 4000 metri circa, è la montagna più alta della Patagonia. Crepacci e seracchi scendono nell’immensa vallata glaciale.
Le lingue biancastre si insinuano e avanzano verso questo balcone roccioso.
Ora mostrando il loro candore, ora ricoperti da detriti e sassi, che si riflettono nelle acque di scioglimento.
Nel cielo terso un condor volteggia. Sembra che anche lui si stia godendo lo spettacolo. Una ventata di aria gelida mi ricorda che lo Hielo Continental è qui, a un passo da me. E allora, prima di lasciare questa regione, voglio vedere anche il Rio Baker. E’ un fiume dalle acque impetuose, pieno di vortici e rapide.
Nasce dal Lago Bertrand, formato dalle acque del più grande bacino Buenos Aires-General Carrera. Mi dicono che di fatto, con il suo tortuoso percorso, divide lo Hielo Continental Norde dallo Hielo Continental Sur.
Per osservare il punto esatto in cui si forma come emissario del Lago, raggiungo Puerto Bertrand, un pugno di colorate casette e una chiesa.
Qui si radunano i pescatori di salmoni che abbondano nelle acque del fiume. Qui, sulla riva, bagnata dagli spruzzi, mi fermo incantata a guardare le acque turchesi che saltano in una vorticosa e spumeggiante danza senza fine.
Un altro regalo della natura. Se il versante cileno del Lago Buenos Aires-General Carrera offre paesaggi spettacolari, quello argentino non è certo da meno.
Passata la frontiera a Chile Cico arrivo a Los Antiguos, sulle rive meridionali del bacino.
Da qui proseguo sulla mitica Ruta 40, direzione Bajo Caracoles. La strada è dritta e assolata. Lo sguardo si perde in un orizzonte infinito, mentre guanachi e nandu sembrano essere gli unici esseri viventi in questo deserto disteso ai piedi della Cordigliera.
Imbocco uno sterrato a sinistra e presto mi trovo immersa in un canyon dal sapore preistorico.
Rocce e collinette bianche, gialle, rosse, nere colorano lo spazio, formando contrasti policromi che paiono dipinti di un pittore impazzito. La pista scende e risale, si incunea tra le pareti strapiombanti. Una macchia di vegetazione verde smeraldo, che contrasta con i ciuffi gialli degli arbusti della steppa che mi hanno accompagnato sino ad ora, mi annuncia la presenza di acqua. E’ il fiume Pinturas.
Ed è qui, nelle caverne che si aprono a picco, circa 100 metri sopra al corso del Rio che, migliaia di anni fa, i nostri predecessori hanno abitato lasciandoci una testimonianza insolita. Mani, centinaia di mani colorate, come moderni murales, ricoprono le pareti rocciose. E’ il sito, Patrimonio dell’Umanità Unesco, la “Cueva de las Manos”.A realizzarle pare sia stato un popolo indigeno, progenitore dei Tehuelche, che è vissuto fra i 9 mila e i 13 mila anni fa. L’età delle pitture rupestri è stata calcolata grazie ai resti degli strumenti, ricavati da ossa, che venivano utilizzati per spruzzare i colori sulla roccia. Le immagini delle mani infatti sono spesso in negativo e per lo più sono mani sinistre (evidentemente pochi erano i pittori mancini).
Tutti gli inchiostri utilizzati sono di origine minerale: rosso, bianco, nero e giallo. Accanto alle mani sono rappresentate anche scene di caccia, guanachi, nandù, puma, figure umane e geometriche, il sole e la luna.
La guida racconta e spiega le abitudini di questi uomini, i loro riti, la loro vita.
Ma ancora tanti restano i misteri. Ed è meglio così, in fondo.
Perché questa è ancora terra di mistero, di sorpresa, di scoperta. E’ la Patagonia.
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