Un tortuoso percorso di circa 100 km su strade secondarie e di montagna conduce dall’antica capitale safavide Qazvin alla scenografica valle di Alamut, nel cuore della catena dei monti Elburz, in Iran.
Le varie ore di strada necessarie a raggiungere Alamut sono ricompensate dalla impareggiabile vista su uno dei paesaggi naturali più variegati e panoramici di tutto l’Iran, un’alternanza di prati e campi verdi, di rocce nude il cui colore sfuma dal rosso al giallo, levigate nei secoli da pioggia, neve e vento, di piccole oasi con alberi svettanti alimentate da vivaci ruscelli.
Tra pinnacoli di roccia e cime montuose spesso imbiancate si annidano le rovine di decine di fortezze medievali, avvolte in leggende e miti misteriosi. Hasan-e Sabbah (1034-1124) era un eremita a capo di una setta religiosa sciita (gli ismailiti nizariti) che trovò rifugio in epoca selgiuchide in queste impervie vallate, da cui organizzava e realizzava cruente azioni contro i suoi nemici sunniti.
Il castello di Alamut (Gazor Khan) dal 1090 fu la residenza inespugnabile di Hasan-e Sabbah, un mitico baluardo situato in un’area desertica tra due montagne, circondato da burroni.
La leggenda narra che intorno al castello il leader spirituale avesse fatto predisporre un favoloso giardino, una sorta di eden di rara meraviglia realizzato a immagine del paradiso maomettiano, dove radunò numerose specie animali, opere d’arte, cibo e vino in abbondanza insieme alle più belle fanciulle del mondo.
“Egli avea fatto fare tra due montagne in una valle lo più bello giardino e l’più grande del mondo; quivi avea tutti frutti e li più belli palagi del mondo”. Così Marco Polo descrive nel suo Il Milione il paradiso in cui il “veglio della montagna” irretiva giovani sbandati e fuorilegge, li inebetiva con l’hashish (da cui l’appellativo di Haššašin, cioè assassini) e li induceva a compiere le azioni più cruente per suo conto; sfruttando questo trucco psicologico e integrandolo con un rigoroso addestramento e una rigida organizzazione gerarchica, plasmava dei perfetti sicari pronti a correre qualsiasi pericolo pur di ritornare dal loro padrone ad assaporare nuovamente i “piaceri della vita”.
Poco resta oggi dell’antico “castello degli assassini” da cui in passato si irradiava il temuto potere di Hasan-e Sabbah, fino a raggiungere ed influenzare tutti i sultanati islamici tra la Siria e l’India: ma la ripida e impegnativa salita di 300 gradini conduce a una falesia da cui si gode di un panorama davvero spettacolare sulla vallata circostante.
L’atmosfera silenziosa e scenografica del “nido dell’aquila” ha ispirato tra gli altri anche Umberto Eco (che ne fa menzione nel libro “Il Pendolo di Foucault”), il film “Prince of Persia, le sabbie del tempo” e il videogame “Assassin’s Creed”.
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