Prima che il buddismo si diffondesse dall’India al Sud Est Asiatico e prima ancora che i colonizzatori francesi portassero da queste parti il cristianesimo, gli abitanti del Laos erano animisti: è facile intuire come un popolo semplice, dedito all’agricoltura e all’allevamento, suddiviso in numerosi gruppi etnici e tribali, avesse sviluppato un insieme di credenze strettamente legate ai fenomeni naturali, agli spiriti buoni contrapposti a quelli cattivi, ai fantasmi, ad entità spirituali che appunto “animano” la natura, sia vivente che inorganica.
Il buddismo theravada inglobò questo insieme di credenze senza soffocare i culti ancestrali preesistenti e ancora oggi la gran parte della popolazione laotiana è buddista e pratica il culto così come l’ha imparato, per tradizione, senza conoscerne il significato profondo, ma anzi infarcendolo di superstizione.
Ogni casa, negozio, albergo, edificio in Laos ha un piccolo altarino, generalmente in cortile, posizionato su un paletto: una casetta in legno che sembra fatta su misura per qualche bambola, ma che invece accoglie il “genio” del luogo. I locali infatti credono fermamente che in ogni abitazione viva uno spirito, con il proprio carattere, le proprie abitudini, tendenzialmente buono, ma spesso lunatico e quindi da non far arrabbiare.
Bisogna conoscere bene il proprio genio, affinché questi resti positivo e protegga la casa con la famiglia che ci abita: occorre lasciare presso l’altarino un po’ del suo cibo preferito, una ghirlanda dei suoi fiori preferiti, un bicchierino della sua bevanda preferita.
Se non si sta attenti, lo spirito può irritarsi e diventare dispettoso, per esempio facendo cadere le cose oppure nascondendole o rompendole.
I più temuti sono gli spiriti negativi, quelli cattivi che, se si installano in un luogo, è poi difficile e doloroso mandare via.
Più che per un profondo senso religioso ed etico, certi comportamenti tipici dei laotiani sono in realtà indotti esclusivamente dal timore di attirare qualche spirito cattivo.
Per esempio, non solo uccidere, rubare, usare violenza, ma anche… alzare la voce quando si è arrabbiati.
Se un turista al ristorante laotiano non è soddisfatto del servizio lento o del piatto che gli è stato servito al posto di quello chiesto, il comportamento peggiore che possa tenere è quello di alterarsi, alzare la voce, gridare.
Non solo i locali si bloccano imbarazzati, ma serpeggia subito tra gli astanti il timore che le urla possano attirare gli spiriti cattivi nel ristorante e trattenerli anche quando il turista insoddisfatto se n’è andato.
Da quel momento, qualsiasi fatto negativo accada in quel luogo, la colpa è imputabile al genio maligno attirato dal comportamento del turista: dalla lampadina fulminata al cuoco con il raffreddore, dagli affari che vanno male ad un tubo che perde in cucina, tutta la negatività è colpa del menagramo che ha alzato la voce.
E poi ci sono i fantasmi, quelli delle persone decedute per morte violenta, per esempio a causa di un incidente stradale oppure per un razzo al fosforo lanciato da un mini aereo T28 americano.
La provincia di Xieng Khouang, non lontano dal confine col Vietnam, si raggiunge in quasi una giornata di viaggio partendo da Luang Prabang: il tragitto è lungo e tortuoso, attraversa fitte foreste toccando incredibili punti panoramici, si inerpica tra colline e montagne fino a raggiungere la cittadina di Phonsavan, situata a circa 1000 metri di altitudine, dove la giungla lascia spazio a prati verdi e boschi di pini.
Durante la guerra combattuta dagli Usa contro il Vietnam questa valle era soggetta ai bombardamenti dei B52 americani che tentavano di tagliare i rifornimenti lungo il sentiero di Ho Chi Minh tra le truppe del Nord del Vietnam ed i Viet Cong ribelli del Sud; contemporaneamente cercavano di soffocare il comunismo locale dei Pathet Lao che si rifugiavano infatti qui, tra le montagne del nord-est.
La valle intorno a Phonsvan è ricca di anfratti, spaccature nelle rocce, grotte più o meno profonde in cui anche la popolazione civile trovava rifugio dagli enormi bombardieri ai tempi della guerra.
Nel 1968 in una di queste caverne, quella di Tham Piu, situata ad una cinquantina di chilometri da Phonsavan, poco meno di 400 persone vennero però carbonizzate da un razzo lanciato da un piccolo aereo T28 che centrò l’ingresso della grotta e non lasciò scampo ai civili inermi.
Tuttora la gente del posto sta lontana da Tham Piu, non partecipa alle commemorazioni ufficiali, evita di accompagnare i visitatori o di pregare al suo memoriale: Tham Piu per loro non è il luogo dove riposano i resti dei loro familiari, ma solo il posto dove riecheggiano le urla dei fantasmi, la caverna buia impregnata di sofferenza e orrore.
Xieng Khouang non è solo la provincia dei fantasmi che i laotiani tanto temono, ma anche lo scenario di un grande irrisolto mistero del Paese: la Piana delle Giare è un’intera vallata che circonda Phonsavan tutta punteggiata di gigantesche urne, giare appunto, alte fin oltre 3 metri e larghe più di 1 metro.
Nessuno ha ancora appurato con certezza scientifica la funzione di queste migliaia di giare meticolosamente scalpellate, risalenti a 2500 anni fa: la presenza di tracce umane al loro interno e nei dintorni ha indotto alcuni archeologi ad ipotizzare che queste otri di pietra potessero essere siti funerari di un’antica civiltà di origine cinese, stanziatasi secoli fa tra il Mekong ed il golfo del Tonchino.
Per ora non si sa nulla con sicurezza. Solo per gli abitanti del posto non esiste alcun mistero, loro sono certi dell’origine e della funzione delle enormi giare: si tratta di anfore per contenere il vino dei giganti che vivono in cima alle montagne intorno a Phonsavan.
Semplice, no ?!?
La Piana delle Giare si visita nel nostro viaggio “Laos Insolito”
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