L’avventura patagonica può essere vissuta anche con gli sci ai piedi come una straordinaria traversata sci-alpinistica.
E più ancora delle cime salite e poi ridiscese, si può vivere la stupefacente immensità di questa regione, fatta di grandi spazi e di incredibili montagne. Eccoci in Patagonia.
Patagonia è immensità tanto più stupefacente in quanto varia. Anche il Sahara è immenso, però è molto più uniforme.
Qui invece tutto è vasto e tutto diverso, basta stare un po’ a guardare il cielo: è un incessante nascere e dissolversi di nuvole di forme diverse che corrono velocissime.
Anche il tempo non è sempre lo stesso: non è sempre brutto e terribile come si dice.
Mentre da Calafate sull’immancabile camionetta ci avviciniamo al gruppo del Fitz Roy c’è un bellissimo sole ed il cielo è blu intenso.
Dall’estepa e dalle acque della pianura man mano ci avviciniamo al bianco delle montagne: dopo tante ore di viaggio stiamo finalmente arrivando al dunque.
I soldati della gendarmeria del parco controllano la nostra attrezzatura e ci chiedono qual è la nostra meta: “Fitz Roy? Cerro Torre?” No: “Lo Hielo!” Risposta: “Es unico!” e poi ci augurano “mucha buena suerte” lasciandoci un po’ perplessi.
Comunque il bel tempo è di buon auspicio ed essendo un po’ meteoropatici siamo contenti e fiduciosi.
Finalmente, dopo aver caricato il materiale sui cavalli del gaucho Guerra, si parte, noi per un sentiero lungo il Rio Blanco, i cavalli ed il gaucho lungo un altro percorso a noi impraticabile per i numerosi guadi sul rio della Vueltas.
Dopo aver attraversato fitti boschi di lengas, il faggio australe, ci si ritrova alla Piedra del Fraile nella valle del Rio Electrico, da tempo campo base per le spedizioni nella zona.
Scaricati i cavalli e salutato il gaucho, guardiamo un po’ preoccupati tutto il materiale che d’ora in poi dovremo trasportare tutto da soli.
E, per farci capire che la Patagonia è la Patagonia, il tempo cambia ed attacca una bella pioggia ed un forte vento che ci accompagneranno per i quattro giorni successivi.
Così, sotto la pioggia battente, guadando gelidi torrenti, arrancando su impervie morene a picco sulla Laguna Electrico arriviamo al ghiacciaio che scende dal Passo Marconi: qui possiamo mettere gli sci e trainare le slitte e poi, per recuperare il materiale lasciato alla base, facciamo la prima sciata patagonica.
Mettiamo il campo appena sotto il passo in una splendida posizione: è il tramonto, il vento ha spazzato via tutte le nuvole e contempliamo dalle nostre tendine l’imponente parete del Pier Giorgio, la Ovest del Fitz Roy e uno scorcio del Cerro Torre.
Alla nostra sinistra la Gorra Blanca che ci preannuncia una bella sciata; purtroppo il giorno dopo, a malincuore, dovremo abbandonarla perché decidiamo, perdurando il bel tempo, di buttarci nello Hielo per cercare di arrivare in giornata al rifugio Nunatak Viedma.
Rapidamente siamo al Passo Marconi: davanti a noi si apre lo Hielo: un immenso pianoro di ghiaccio in cui confluiscono vastissimi ghiacciai secondari delimitati da bianche catene di montagne.
Il passo è una porta verso un mondo diverso e, nell’attraversarla, abbiamo la sensazione di compiere un gesto irreversibile: da quel punto in poi saremo solo noi cinque, noi e il ghiaccio e nessun segno di vita.
Il cielo è sempre bellissimo, la neve giusta, il vento favorevole: è forse la giornata più splendida di tutta la traversata; sfiliamo per 35 chilometri sotto i caratteristici funghi sommitali del Cordon Marconi e del Torre, puntando verso sud dove si delinea il Cordon Mariano Moreno.
Abbiamo continuamente l’impressione di essere arrivati e invece la meta è sempre molto lontana; è una caratteristica patagonica: la trasparenza cristallina dell’aria trae in inganno e le distanze risultano maggiori del previsto.
Scivoliamo piacevolmente trainando le slitte fino a quando il ghiacciaio si rompe; qui le slitte si rovesciano e cadono nei solchi del terreno; dobbiamo continuamente tirarle su a braccia, poi addirittura caricarle sulle spalle sopra gli zaini: alcuni di noi porteranno per un bel tratto anche più di 50 chili a testa.
A questo punto desistiamo dal voler arrivare al Nunatak, puntiamo perpendicolarmente verso il limite destro del ghiacciaio e, stanchi, arriviamo sulla morena come naufraghi sulla terraferma.
Il giorno successivo finalmente, dopo varie ricerche,troviamo il Nunatak: è un isolotto di roccia lungo circa 5 kilometri che si eleva sullo Hielo Continental di circa 500 metri.
È incredibile: man mano che ci si addentra notiamo piccoli indizi di qualcosa che avevamo quasi dimenticato: la vita! Prima un po’ di muschio, dell’erbetta secca, dei fiorellini, alcune farfalle e qualche uccellino, poi al rifugio tra le assi e le lamiere sentiamo il tramestio di topolini e quindi, addirittura, Antonio vagando per l’isolotto, vede in un laghetto interno due otarde che fuggono al suo arrivo.
Perché avranno lasciato il verde della zona sub-andina? Saranno un po’ “loche” come noi? Comunque è l’impressione di essere arrivati nella mitica valle di Shangri-là.
Ci prendiamo una giornata di riposo dedicata all’esplorazione dell’isolotto, alla restaurazione dei piedi ridotti a una massa di vesciche, alla pulizia e soprattutto alla cucina.
Il giorno dopo una salita: puntiamo a una cima del Cordon Mariano Moreno.
Sembra lì, ma ci vorranno tre ore solo per arrivare alla base.
Iniziamo la salita, il tempo è bello, sembra una gita primaverile sulle nostre Alpi: fa quasi caldo e ogni tanto precipitano a valle dei blocchi di ghiaccio che si staccano da una sovrastante seraccata.
Ma sopra di noi il tempo sta cambiando: dapprima notiamo i pennacchi di neve soffiata dal vento sopra la cresta, poi ci troviamo del tutto immersi nella bufera.
Ci togliamo gli sci e con gli scarponi raggiungiamo un pendio più accessibile solcato da larghi crepacci colmi di neve che dobbiamo attraversare prima di arrivare in vetta.
Il vento è fortissimo, si fa fatica a respirare; noi volevamo vedere l’Oceano Pacifico e invece niente: solo neve sopra e sotto, bisogna scendere in fretta.
Sempre legati, a fatica, troviamo la via d’uscita da questo labirinto di seracchi e crepacci e, perdendo quota, quasi d’incanto, ci troviamo fuori dalla bufera, di nuovo nel sole.
Finalmente sfoghiamo la voglia di sciare e torniamo a Nunatak. Il giorno dopo attraversiamo il ghiacciaio Viedma e ci portiamo verso l’Upsala: è di nuovo brutto tempo, vi è un vento gelido fortissimo: sembriamo dei fantasmi che galleggiano sulla neve sollevata dal vento.
Poi comincia anche a nevicare, non si vede più niente e siamo costretti a navigare con la bussola.
Nevica tutta la notte e la mattina le tende sono incrostate di neve e ghiaccio.
Il tempo migliora, spunta il sole: nei tratti pianeggianti vediamo tra il bianco del ghiacciaio delle ampie chiazze verdazzurro. Raggiuntele, gli sci sprofondano dandoci la sensazione di sabbie mobili: è invece una granatina e subito sotto sentiamo, rassicurati, il ghiaccio compatto.
Grazie alla buona visibilità raggiungiamo il rifugio Fuerza Aerea posto su uno sperone roccioso: sono due casotti uno adibito a deposito militare, l’altro (2 metri per 2) è il rifugio.
Solo grazie all’abilità di Giovanni diverrà abitabile: con delle assi trovate fuori ci prepara un parquet, un tavolo e delle panche.
Meno male perché dopo poco si mette a piovere a dirotto e così per i due giorni successivi. Sappiamo che davanti a noi c’è il Cerro Campana, ma non riusciamo a vederlo.
Continua la pioggia incessante, abbandoniamo l’idea di salire qualche altra cima e decidiamo di cercare “l’escape” dello Hielo.
È piuttosto difficile perché la visibilità è molto scarsa e ci impedisce di distinguere lo sperone del Murallon, punto di riferimento per l’uscita verso il rifugio Pascale.
Girovaghiamo in un dedalo di crepacci, naturalmente con tutto il materiale in spalla, essendo impossibile trascinare le slitte.
Sembra che il ghiaccio non voglia farci uscire: dopo vari tentativi troviamo una lingua di ghiaccio che ci deposita sulla morena e, dopo una splendida laguna blu, troviamo dei provvidenziali ometti che segnano la via per il rifugio.
Il rifugio Pascale è il solito box di lamiera: ci sembra però estremamente confortevole con il bel pavimento di ghiaia, i letti a castello e i vari utensili ed alimenti lasciati dagli alpinisti che ci hanno preceduto.
I problemi però non sono finiti: appena sotto il rifugio dobbiamo attraversare l’impetuoso rio che esce dalla Laguna Pascale, sospesi a un filo metallico ricordo della salita di Casimiro Ferrari al Murallon.
Per un “cañadon” con rocce multicolori arriviamo alla Laguna di Pesca: adesso possiamo utilizzare la canna che Giovanni si è portato dietro per tutti i 120 chilometri dello Hielo!
Una dopo l’altra peschiamo una ventina di splendide trote salmonate che, affamati, finiremo fra pranzo e cena.
Rifocillati, fra lepri che scappano da tutte le parti, ci dirigiamo all’Estancia Cristina ove la proprietaria, un’anziana signora inglese, Janet, e Vincente, un gaucho che vive con lei, ci accolgono alle cinque con un perfetto tè con pasticcini.
È piuttosto irreale: sembra veramente di essere in una tranquilla casa di campagna inglese: lo Hielo diviene lontanissimo. Poi la barca della Prefectura Naval arriva a riportarci alla realtà.
LA POSIZIONE
Lo Hielo Continental, o meglio lo Hielo Patagonico, è situato all’estremità australe del Sudamerica.
Come la Patagonia anche lo Hielo Patagonico è una entità non ben definita, con confini geografici e politici sfumati.
Politicamente si trova fra Argentina e Cile, geograficamente si estende approssimativamente fra il 46° e il 52° parallelo di latitudine sud ed è diviso in due zone distinte, lo Hielo Patagonico Nord e quello Sur, da un profondo fiordo, il canale di Baker, sito al 48° parallelo, formato dalla confluenza del Rio Baker, emissario del Lago Buenos Aires e del Rio Pascua, emissario del Lago San Martin.
Per estensione lo Hielo Patagonico, escluse le due calotte polari, è secondo solo alla Groenlandia: la letteratura più recente segnala 4400 km2 per lo Hielo Patagonico Nord e 13500 km2 per quello Sur.
Si tenga presente che tutti i ghiacciai alpini nel loro insieme hanno un’estensione di 3500 km2 e che il più vasto (l’Aletsch) è di circa 100 km2.
Lo Hielo Patagonico è una calotta di ghiaccio delimitata a ovest dall’Oceano Pacifico, in cui precipita con numerosi ghiacciai periferici formando un labirinto intricatissimo di fiordi.
A est, invece, degrada più dolcemente dando vita ai grandi laghi da cui derivano i fiumi che percorrono le steppe patagoniche fino a gettarsi nell’Oceano Atlantico.
Fra i due versanti vi sono le Ande Patagoniche, che in uno o più cordoni paralleli con decorso nord-sud, rialzano lo Hielo e lo suddividono in vasti altopiani interni.
Nel tratto da noi percorso (dal Passo Marconi all’estancia Cristina) lo Hielo Patagonico Sur è delimitato ad occidente dal Cordon Mariano Moreno, dal Riso Patron, dal Don Bosco e dal Maurallon; a oriente dal Cordon Marconi, dal gruppo del Fitz Roy con il Cerro Torre e l’Adela e, dopo l’immenso ghiacciaio Viedma, dal Cordon Moyano, dal Cerro Campana, Cristal, Norte e Yumil.
La cima più alta del cordone occidentale si trova nel Cordon Mariano Moreno (3500 metri circa); è anche il punto più elevato delle Ande Patagoniche Australi.
Nel cordone orientale la cima più alta è il Fitz Roy, 3441 metri. La calotta centrale è divisa in numerosi e vasti altopiani e si mantiene ad un’altezza media di 1500 metri.
Lo Hielo Patagonico Sur è lungo circa 330 km ed è largo fino a 80 km.
La calotta centrale è costituita da ghiaccio diversamente conformato: verso nord è piuttosto liscio e quindi facilmente sciabile. Invece verso sud e in corrispondenza di deformazioni e dislivelli del terreno, incontri di ghiacciai secondari, vicinanza ai laghi, si rompe e si increspa formando solchi più o meno profondi, crepacci, laghetti, pozze d’acqua e ruscelli.
Caratteristiche sono poi le strisce nere che solcano i ghiacciai, dovute all’ammasso di detriti portati dalle morene secondarie confluenti: danno l’impressione di immense autostrade a più corsie viste in negativo.
I ghiacciai sono in continua retrazione (anche più metri all’anno quelli periferici orientali come l’Upsala).
Il calo dei ghiacciai nel tempo ha dato origine ai Nunatakker, termine eschimese che definisce degli isolotti di roccia affioranti dallo Hielo.
Caratteristica climatica è la presenza di nuvolosità con venti a direzione predominante da ovest; questi provengono dall’Oceano Pacifico carichi di umidità e a contatto con la “cordillera” danno luogo a cospicue precipitazioni.
I mesi più ventosi sono da novembre ad aprile, mentre in inverno (australe) vi può essere anche una prolungata calma dei venti.
LE ESPLORAZIONI DELLO HIELO PATAGONICO SUR
L’esplorazione delle Ande della Patagonia e dello Hielo Patagonico fu dapprima motivata da ragioni militari, poiché fin dall’indipendenza dalla Spagna, Argentina e Cile si trovarono in disaccordo sulla linea di confine.
Dagli inizi del nostro secolo le esplorazioni assunsero invece un carattere più propriamente geografico. Discretamente numerose sono state le attraversate ovest-est, poche quelle nord-sud.
Dapprima si distinsero il tedesco F. Reichert e padre Alberto Maria De Agostini, salesiano amante dell’avventura che esplorò gran parte della Patagonia Sur e la descrisse in un libro fondamentale per gli alpinisti italiani.
Successivamente sono da segnalare le numerose spedizioni geografico-militari argentine del dottor M. Bertoni.
Nel ’55 l’inglese Tilman compie la prima traversata completa ovest-est.
Nel ’60 l’inglese Shiptnon effettua la prima traversata parziale nord-sud, dal ghiacciaio Montt all’estancia Cristina, con slitte e senza sci.
Nel ’68 cinque giapponesi attraversarono lo Hielo dal fiordo Exmouth all’estancia Cristina.
Nel ’76 (invernale) Pedro Skvarca del Club Andino Bariloche attraversa lo Hielo dall’estancia Cristina al Passo Marconi.
Nel ’79 quattro neozelandesi, fra cui una donna (la seconda che si addentra nello Hielo), compiono una traverata nord-sud secondo l’itinerario di Shipton con sci e slitte.
Nell’ ’82 i francesi riescono nelle traversate ovest-est e sud-nord dal sen Ultima Esperancia al ghiacciaio Dickson (parte più difficoltosa perché più crepacciata dello Hielo Patagonico Sur).
Nell’ ’85 Giuliano Giongo in solitaria invernale attraversa con sci e slitta dal Passo Marconi all’ estancia Cristina.
Nell’ ’86 Giuliano Maresi e compagni percorrono a piedi il tratto dal Passo del Viento all’estancia Cristina.
I LIBRI E LE CARTE
La cartografia esistente è vincolata da segreto militare. Siamo riusciti ad avere dal dottor Mario Bertoni dell’Istituto Glaciologico Patagonico solo una mappa di rilevazione dei ghiacciai della zona in scala 1:500.0000.
Esistono poi le vecchie carte di Padre Alberto Maria De Agostini (considerate che col tempo i ghiacciai si sono modificati).
Tra i volumi pubblicati sulla Patagonia segnaliamo:
• Alberto De Agostini, Ande Patagoniche, Società cartografica Giovanni De Agostini, Milano, 1949
• Mario Bertone, Aspectos glaciologicos de la zona del lo Hielo Continental Patagonico, Inst. Nac. Hielo Continental Patagonico, Buenos Aires, 1960
• Mario Frantin, Le Ande, Cai, Commissione centrale pubbl., Milano, 1979
• Bruce Chatwin, in Patagonia, Adelphi, Milano, 1980
• Walter Bonatti, La mia Patagonia, Baldini, Appiano Gentile, 1986
• Gino Buscaini- SilviaMatzeltin, Patagonia, Dall’Oglio, Milano, 1987
Testi e foto di Antonio Curtabbi
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