Dopo anni di sogni ad occhi aperti, di programmi e documenti di viaggio, di clienti e colleghi che rientrano entusiasti dal’Isola Rossa, finalmente atterro per la prima volta all’aeroporto di Nosy Bè, un’isoletta posta a Nord Ovest della Grande Terre Madagascar.
Il portellone dell’aereo si apre, un’aria caldo-umida mi avvolge e il sole mi bacia la pelle: un dono!
Ripiego velocemente il piumino invernale e la felpa nello zaino e scendo quasi correndo le scalette, per poi proseguire a piedi fino all’improbabile Terminal.
Nell’Isola atterrano ogni settimana due voli charter dall’Italia e uno dalla Polonia, ad attenderci c’è un solo nastro per il bagaglio ed è rotto.
Tutto viene svolto a mano, la ragazza che ti misura la febbre (obbligatorio dopo l’epidemia di peste che ha colpito la lontana capitale l’anno passato), chi ritira il foglio doganale, chi riscuote il costo del visto, chi ti rilascia la fattura, chi controlla il passaporto e infine i 2 ragazzi che spostano e posano le pesanti valigie, una ad una, al centro del nastro fermo.
Il personale in aeroporto parla un poco di italiano e la parola più sentita dopo “Buongiorno” è ripetuta e sussurrata: “mancia, mancia”. I lavoratori rischiano il posto di lavoro, sanno che non possono richiedere soldi ai turisti ma “carpe diem”, ci provano sempre e comunque.
Le strade sull’Isola sono dissestate, anche le principali.
Per percorrere i 30 km che ci dividono dal nostro hotel, sulla spiaggia dell’Andilana – la più bella dell’Isola continuano a ripeterci – ci impieghiamo circa un’ora, attraversando l’Isola.
Coltivazioni di Ylang Ylang – la cui essenza è il fissatore del profumo per definizione: Chanel n.5 – palme, banani, maghi si alternano in un verde intenso, fino a raggiungere lo smeraldo e il blue cobalto del mare, impegnato a quell’ora, a mangiarsi la bella spiaggia corallina sulla quale si affaccia il nostro hotel.
Il tempo non ci consente di visitare l’Isola perché già il mattino successivo ci imbarchiamo dal porto di Hell Ville per il “Madagascar”, questa allegoria mi ricorda bonariamente gli amici sardi quando vengono a trovarci in “Italia”.
Mezz’oretta di barca veloce per attraversare un mare calmo, abitato da feluche locali che trasportano materiali edili dalla grande alla piccola isola, ed approdare in un porticciolo dal quale già capisci, a colpo d’occhio, che se Nosy Bè è povera ma turistica, questo Madagascar è invece abbandonato a sé stesso.
La maggior parte della popolazione del Madagascar vive oggi in una povertà estrema causata in gran parte dalla mancata distribuzione delle risorse di cui il Paese è ricco. Anche Papa Francesco in visita nella capitale a settembre ha gridato che “la povertà non è una fatalità”, accusando i potenti di giustificare e persino “consacrare” alcuni comportamenti che portano alla cultura del privilegio e dell’esclusione (favoritismi, clientelismi, e quindi corruzione). Non dimentichiamoci che Il Madagascar è tra gli ultimi 5 Paesi più poveri al mondo.
È vero che non c’è guerra ma la gente vive con qualche centesimo di dollaro al giorno.
La strada che conduce alla città portuale di Diego Suarez è asfaltata, ma a causa della totale mancanza di manutenzione, il manto è paragonabile ad un gruviera svizzero. Impieghiamo 8 ore per percorrere circa 300 km. Personalmente amo i viaggi in fuoristrada, quelli “on the road”, è bene essere coscienti, prima di intraprendere un viaggio nel Nord, dello stato delle strade. Questa caratteristica ci sta portando a studiare nuovi itinerari per coloro che preferiscono viaggi più lenti, con trasferimenti di massimo 4/5 ore al giorno.
La sosta agli Tsingy Rouge, poco prima di raggiungere Diego Suarez, ci permette di sgranchirci le gambe, con una passeggiata di circa 50 minuti, per scoprire da vicino queste conformazioni rocciose calcaree di aspetto a guglia, presenti al mondo solo in quest’Isola.
I Parchi Nazionali che decidiamo di visitare nei giorni successivi sono Montagne D’Ambre e Ankarana Est, rispettivamente con 3 e 4 ore di trekking.
La natura nei parchi è ovviamente predominante, ci ritroviamo a passeggiare sotto le fitte foglie della foresta decidua, spalmati di potentissima crema repellente, con occhi ballerini.
I rangers che accompagnano i turisti, riescono a scorgere i lemuri, anche se sono nascosti fra i buchi dei tronchi degli alberi, i camaleonti anche se mimetizzati nella natura, i boa che dormono, i gechi immobili e gran parte delle specie di uccelli endemici presenti.
Le guide, tutte molto preparate, ci hanno intrattenuto parlando lungo tutto il percorso, arricchendoci di nozioni tecniche di botanica, zoologia, geologia e stemperando le salite più ardue raccontandoci barzellette divertenti.
Nel Parco dell’Anakarana Est siamo stati fortunati, abbiamo avvistato molti lemuri e camminato sopra gli tsingy e sotto il solo cocente, fino a raggiungere il ponte sospeso che abbiamo attraversato per raggiungere l’area di riposo.
Al termine del tour ci siamo rilassati per due notti in un angolo del paradiso: un’isoletta abitata, a circa un’ora di barca da Nosy Bè, pernottando presso un eco lodge molto semplice ma curato.
L’isola di Nosy Iranja è molto conosciuta per coloro che la raggiungono in escursione giornaliera dai villaggi turistici di Nosy Bè, per godere di una spiaggia corallina, un mare trasparente e avvistare le tartarughe giganti, qui grandi padrone di casa.
Il gioco delle maree regala una lingua di sabbia bianchissima di 1400 metri che conduce ad un’isola privata, solo con la bassa marea.
L’opportunità di vivere quest’isola per due notti, a stretto contatto con il villaggio di pescatori è stata una delle più belle esperienze del viaggio.
Il Lodge, composto da soli 6 bungalow, è dotato di pannelli solari e di un generatore, in funzione solo in alcune ore al giorno, non c’è acqua calda, per la doccia è richiesto di non sprecare l’acqua perché preziosa.
Non è possibile usare il phone e si mangia solo ciò che viene pescato la notte (cucinato bene e con porzioni abbondanti).
La vita dei pochi turisti, che si sentono veri ospiti, e del villaggio (le capanne sono adiacenti) è scandita dal ritmo solare: ci si sveglia all’alba con il canto del gallo e dopo colazione hai una giornata intera per rilassarti, sconnesso dal mondo (il wi-fi è utile solo per qualche breve messaggio), un tutt’uno con la natura.
Prima delle 8 i bambini con i loro zainetti vanno a scuola e verso le 10 arrivano sulla spiaggia le orde di turisti, che si fermano fino alle 3 del pomeriggio, quando i bimbi si riappropriano delle loro spiagge per giocare a palla o sfidarsi in salti acrobatici.
Le donne e le ragazzine, mentre gli uomini giocano a damino nel bar del villaggio, escono in mare (l’acqua arriva alla vita) a pescare con una rete circolare che tengono all’estremità. Sembrano divertirsi fra loro, chiacchierano, canticchiano e il loro pescato viene poi pulito da tutte sulla spiaggia, con un occhio ai bimbi che giocano, prima di rientrare a casa a cucinare.
La sera gli uomini escono con le loro imbarcazioni per pescare e la vita del villaggio si spegne verso le 9 quando vedi solo le lucine di qualche ragazzo al cellulare che passeggia davanti alle capanne.
Per concludere credo che quest’isola, che sembra da poco emersa dalla Pangea, abbia già trovato la soluzione dell’annoso problema dell’overtourism: qui il turismo si può definire sostenibile, legato allo sviluppo economico dell’isola e il rischio di sconvolgere la vita dei residenti è davvero minima.
Molte altre realtà e nuovi progetti di turismo sostenibile sono nate nell’arcipelago di Nosy Bè e nel Nord del Madagascar, diverse sono già presenti nei nostri programmi, che teniamo aggiornati online.
Testi e foto: Federica Mauri – Asia e Africa Dept. Earth Cultura e Natura
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