Per gli alpinisti «il Vinci» è una delle più belle scalate delle Alpi: uno spigolo di granito, che si leva come un’ardita vela rocciosa sulla cresta del Cengalo, fra le vette della Val Masino, al confine tra Lombardia e Grigioni. Il nome gli viene dal primo salitore, Alfonso Vinci, un personaggio da romanzo, che, nato nel 1916 a Dazio, in Valtellina, avrebbe fatto un po’ di tutto.
Scalatore, comandante partigiano, esploratore di nuovi territori, trafficante di diamanti, antropologo, scrittore. La sua sembra la vita di un personaggio di Jack London.
Laureato in Lettere e filosofia e in Geologia, prima della guerra aveva portato a termine scalate di rilievo, imponendosi come il solo vero rivale del leggendario Riccardo Cassin.
Per le sue imprese il regime fascista gli attribuì la medaglia al valore sportivo.
Ufficiale della Scuola Militare degli Alpini, Vinci partecipò alla Resistenza con il nome di battaglia di Bill, il capo partigiano delle brigate Garibaldi della Valtellina. Uomo duro e spregiudicato, fu al centro di sanguinosi episodi, che lo indussero a sparire dalla circolazione per un po’ di tempo.
Così alla fine degli anni Quaranta, quando corse la voce che lungo gli affluenti dell’Orinoco era cominciata una grande corsa all’oro e che qualcuno aveva addirittura trovato diamanti, Vinci prese il largo e si unì alla folla di sbandati, disperati, avventurieri, che si inoltravano nella foresta e setacciavano le preziose sabbie, lottando con serpenti, insetti velenosi, malattie, fame.
Il vantaggio assicuratogli dalla sua laurea in geologia gli permise in breve di accumulare una piccola fortuna. Tornò allora in Italia, ma ripartì poco dopo, non si sa se perché avesse dilapidato troppo in fretta il suo gruzzolo o perché l’aria fosse ancora troppo calda per lui. Si recò allora in Venezuela, dove fece il docente all’università di Mérida e il consulente per le imprese minerarie, ma trovò anche il tempo di immergersi nella foresta amazzonica, studiando i costumi degli indios yanoama e scirisciana. Non dimenticò neppure di scalare le grandi montagne di oltre seimila metri di Venezuela, Perù, Colombia ed Ecuador, compiendo imprese, fra cui la prima traversata della cordigliera, che sarebbero rimaste nella storia dell’andinismo.
I suoi libri, Cordigliera, Samatari, Diamanti, Lettere tropicali, testimoniano una solida capacità di scrittura, con un gusto tra London e Hemingway, che fanno di lui uno dei più interessanti scrittori italiani rimasti in ombra perché fuori dai giri delle consorterie letterarie.
Vinci morì qualche anno dopo il suo definitivo rientro in Valtellina, nel 1992, dimenticato da tutti, ma emblema di quell’Italia intelligente e avventurosa, per la quale emigrazione non ha voluto dire soltanto valige di cartone.
Ha scritto una quarantina di libri pubblicati dai maggiori editori, insegna all’università, è editorialista del Corriere della sera, ha scalato migliaia di cime sulle Alpi e fuori, ha viaggiato ai quattro angoli del mondo. Ed è amico di Earth Viaggi.
Franco Brevini inizia la sua collaborazione con il nostro sito, dove alternerà i suoi racconti sui viaggi che ha compiuto a riflessioni sul muoversi nel mondo ieri e oggi.
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