I film americani sulla guerra del Vietnam sono talmente numerosi da essere considerati addirittura un genere cinematografico a sé stante.
Pellicole come Apocalypse Now, Platoon, Full Metal Jacket, Good Morning Vietnam, Rambo hanno veicolato un’immagine cruda e spesso fuorviante di questo Paese, dipinto frequentemente come un luogo inospitale, ricoperto da una vegetazione fitta e selvaggia, costantemente flagellato da piogge monsoniche e da un caldo umido insopportabile, abitato da un popolo crudele, furbo e sfuggente.
Nel clima della Guerra Fredda che caratterizzava gli anni Sessanta del secolo scorso, il Sud Est Asiatico rappresentava un tassello strategico nello scacchiere politico internazionale e gli Stati Uniti si inserirono nella regione per sostenere la dittatura conservatrice del Vietnam del Sud in contrapposizione al governo comunista di Ho Chi Minh insediatosi nel Vietnam del Nord e sostenuto da Cina e Unione Sovietica.
Nel 1964 il famoso “incidente del Tonchino” tra motovedette nord vietnamite e un pattugliatore americano fu l’occasione per gli USA di attaccare il Nord guidato da Ho Chi Minh, innescando un conflitto che durò fino al 1975, quando i nordvietnamiti ed i ribelli Vietcong conquistarono Saigon e riunificarono il Paese. 3 milioni di soldati e di civili nordvietnamiti, 250.000 soldati e civili sudvietnamiti, 60.000 soldati statunitensi pagarono con la vita il prezzo di questa guerra.
Chi non si lascia scoraggiare dalle immagini stereotipate dei film e decide di intraprendere un viaggio nel Vietnam attuale, difficilmente realizza che quattro decadi fa il Paese era lacerato da una guerra brutale ed il suo popolo diviso dal famigerato 17° parallelo: le testimonianze di quel periodo non sono visibili, bisogna cercarle apposta, nascoste tra le foreste del Sentiero di Ho Chi Minh (corridoio lungo il confine laotiano-vietnamita che serviva ai vietnamiti del Nord per rifornire i ribelli del Sud) o celate tra i muri dei musei di Hanoi e Saigon.
Ma per capire a fondo il Vietnam di oggi, per comprendere come coesistano grattacieli illuminati da scritte al neon e tradizionali villaggi di campagna con le capanne di legno, per spiegare l’ardente voglia di benessere economico e modernità del suo giovane popolo, è necessario rileggere i fatti di quegli anni cruenti, quando il futuro era inesistente e le condizioni di vita angosciose.
Scoprire le cicatrici nascoste della guerra aiuta ad interpretare e a meglio apprezzare ciò che il Paese è adesso.
Il War Remnants Museum di Ho Chi Minh City è un pugno nello stomaco per la crudezza delle sue testimonianze sulle atrocità della guerra, specialmente sugli effetti devastanti delle armi chimiche subite dalla popolazione civile.
Il museo della Prigione di Hoa Lu ad Hanoi racconta le misere condizioni di detenzione dei piloti americani abbattuti e catturati vivi durante i raid aerei sul Vietnam settentrionale. I tunnel di Cu Chi sono l’emblema della tattica di sfinimento adottata dai Vietcong contro i nemici americani, cioè una rete di 250 km di cunicoli e gallerie che univano il sentiero di Ho Chi Minh a Saigon, permettendo ai soldati ribelli del Sud di ripararsi dai bombardamenti al napalm e di tendere insidiose imboscate.
Oggi il Vietnam ha girato le pagine di quel capitolo della Storia, si è lasciato alle spalle il passato cruento per proiettarsi nel futuro, nella modernità, nel progresso economico, senza dimenticare le sue millenarie tradizioni.
Le cicatrici della guerra si sono rimarginate, ma pur nascoste restano l’insegnamento tangibile dei suoi momenti più bui.
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