Potrebbe non essere facile raccontare delle popolazioni che abitano l’Himalaya senza cadere in derive che vanno dal religioso al sentimentale. Quello che è certo è che in queste regioni troviamo gli hunza, un popolo che vive nelle valli pakistane settentrionali di Hunza, Nagar e Yasin.
Formalmente abolito il 25 settembre del 1974, il Principato di Hunza era retto da un mir, una sorta di sovrano, e vedeva la sua capitale nella città di Balbit anche conosciuta come Karimabad che la leggenda vuole fondata da un soldato di Alessandro Magno.
Le vie di comunicazione impraticabili o largamente assenti hanno contribuito all’isolamento di questo popolo di razza bianca e, dal punto di vista genetico, solo parzialmente simile ai popoli dell’est asiatico e con tratti in comune con etnie del nord dell’Himalaya.
La loro stessa lingua, il burushaski, non pare poter essere messa in relazione con altre lingue conosciute. La stessa religiosità degli hunza presenta particolarità forse dovute all’isolamento. Pur essendo formalmente mussulmani ismailiti, il tipo di religiosità ben di rado si manifesta esteriormente in riti, cerimonie, templi e sacerdoti.
È una religione fortemente vissuta a livello interiore e personale. Almeno in apparenza non si trovano tracce di superstizione o credenze magiche e la donna ha pari diritti dell’uomo e alcun obbligo di indossare il velo.
Esiste tutto un fiorire di letteratura sulla longevità degli Hunza. In tanti li indicano come gli uomini più longevi della terra, in grado di vivere fino a 130-140 anni e prolifici, uomini e donne, sino ai 70 anni. Questa longevità sarebbe dovuta all’alimentazione sana e rigorosa, alla pratica del digiuno e all’assenza di inquinamento tipica dell’Himalaya.
Meglio limitarsi ad alcuni dati oggettivi e non interpretabili. Esistono al mondo blue zones in cui l’aspettativa di vita è superiore alla media ma non è una prerogativa orientale. Si trovano infatti blue zones in Sardegna, in California, in Ecuador, in Georgia e in Giappone. Mancano spesso in queste zone dati anagrafici certi.
Mentre la dieta ipocalorica è un dato di fatto, non è mai in nessun caso presente una dieta vegetariana o vegana.
Il digiuno è regolarmente praticato sia come necessità di adattamento alla scarsità di risorse, al ciclo della natura e ad aspetti religiosi. L’acqua è di natura alcalina mentre nel resto del mondo è prevalentemente acida.
Gli Hunza condividono questo stile di vita con gli Sherpa. Gli Sherpa sono una stirpe emigrata principalmente nella zona orientale del Nepal dalla regione di Kham nel Tibet orientale. Questi uomini venuti dall’est (questo è il significato del nome Sherpa) vollero assumere una precisa identità rispetto al generico e talvolta dispregiativo buthia che gli indigeni nepalesi riservavano a coloro che provenivano dal Tibet.
Occuparono la regione di Khumbu e quindi quella di Pharak e di Solu, costruendo villaggi tra i 3.300 e i 3. 800 metri di quota con vista sull’Himalaya. La loro compattezza, il grado di organizzazione sociale, la reciproca solidarietà unite a una notevole autosufficienza e a non comuni qualità morali permisero loro di imporsi. La solidità del popolo Sherpa è data anche da matrimoni che sono rigorosamente confinati all’interno dell’etnia ma al contempo assolutamente vietati all’interno dello stesso clan.
Oggi, oltre che dedicarsi come sempre all’agricoltura, all’allevamento e al trasporto di materiale tra Nepal e Tibet, trovano nuova linfa nel turismo. Oggi è universalmente riconosciuta la loro autorità come guide delle spedizioni verso l’Himalaya e non solo come uomini di fatica. Forti, leali, coraggiosi e allegri, nessuno straniero si avventura oggi in montagna senza un sirdar, un capo portatore che è sempre uno sherpa.
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