Quando scoprii la Patagonia capii cosa intendesse lo scrittore francese Blaise Cendrars, quando notava che le sconfinate estensioni di quella terra gli evocavano un’immensa tristezza.
Cos’è la malinconia che talvolta ci assale viaggiando nelle vastità del Sud dell’Argentina e del Cile?
Ci ho pensato a lungo e sono arrivato alla conclusione che è la frustrazione per ciò che ogni giorno perdiamo nelle nostre quotidianità arrese ai loro prudenti orizzonti.
Come possiamo accontentarci delle nostre intorpidite giornate quando c’è tutto quello splendore che rifulge là fuori?
La strada sterrata che viene dal Calafate incide con il suo taglio la pianura monotona e infinita.
Il cielo è ingombro di nubi sontuose come uno scenario barocco e all’orizzonte si staglia il nastro azzurro della cordigliera.
Per Bruce Chatwin la Patagonia era uno scenario da apocalisse, affollato da un’umanità meticcia e stravagante. A me è apparso invece come uno smisurato labirinto.
Dalle calotte glaciali dello Hielo Continental Sur al dedalo degli arcipelaghi fuegini, in cui sembra esplodere l’estremo lembo del continente americano, tutto è estremo ed esagerato e perdersi è questione di un attimo. Sulle praterie ingiallite dall’autunno australe, che si stendono intorno alle strane dolomiti andine del Paine, pascolano i branchi dei guanachi, mentre nel cielo incrociano solenni i condor con le ali bianconere immobili nel vento.
Sull’Isola Magdalena i centoventimila pinguini che la popolano danno l’impressione di una spiaggia affollata di bagnanti: ma quegli ondeggianti pupazzetti sono i bianconeri e starnazzanti custodi delle solitudini del Canale di Beagle.
Ricordo che dal Boeing 737 dell’Austral, che mi riconduceva a Buenos Aires, si scorgeva svanire nella lontananza il Parco Nazionale Los Glaciares, con le fotografatissime falesie del Perito Moreno.
La luce balenava tagliente come una lama, squarciava una nube violacea, esplodeva trionfale, era inghiottita da una cupa tenebra, poi nuovamente infuocava il cielo e non voleva mai morire. Ma, prima che l’aereo si infilasse nel plafond di nuvole, apparvero per un istante il Fitz Roy e il Cerro Torre: altissimi, quasi irreali, contro il loro bagliore di ghiacci.
Ha scritto una quarantina di libri pubblicati dai maggiori editori, insegna all’università, è editorialista del Corriere della sera, ha scalato migliaia di cime sulle Alpi e fuori, ha viaggiato ai quattro angoli del mondo. Ed è amico di Earth Viaggi.
Franco Brevini inizia la sua collaborazione con il nostro sito, dove alternerà i suoi racconti sui viaggi che ha compiuto a riflessioni sul muoversi nel mondo ieri e oggi.
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