Vivere per un anno in Antartide, lontano da tutto, affrontando temperature estreme per portare avanti la ricerca scientifica. Oggi abbiamo il piacere di intervistare Filippo Calì Quaglia, fisico dell’atmosfera, uno dei ricercatori della base italo-francese Concordia, situata a 1.200 chilometri dalle coste dell’Antartide. Buona lettura!
Ci puoi raccontare il motivo per cui sei in Antartide?
La principale ragione della presenza internazionale, italiana e quindi mia in Antartide ha le sue radici nella ricerca scientifica. L’Italia è presente in Antartide con una sua base costiera fin dagli anni ’80, la Mario Zucchelli Station. Alla fine degli anni ’90 è iniziata la costruzione di una base sul plateau Antartico, a più di 1.000 km dalla costa, in collaborazione con la Francia: Concordia Station. Si tratta dell’unica realtà in Antartide in cui due nazioni collaborano attivamente per portare a termine numerosi progetti scientifici. Io mi trovo da un paio di settimane nella base Concordia. Sono arrivato qui spinto da molte motivazioni diverse fra loro, a cominciare dalla possibilità di confrontarmi con diversi progetti scientifici e diverse strumentazioni.
Poi sicuramente c’è il fascino dei luoghi impervi, sconosciuti, lontani e inaccessibili, nei quali le condizioni vita sono spesso proibitive. Questo genere di esperienze è stimolante e sfidante. Soprattutto quando hai 26 anni. Infine, l’aspetto umano; un’altra sfida è rappresentata dalla convivenza in un luogo confinato e isolato con un gruppo ristretto di persone sconosciute fino a qualche mese fa.
Come si svolge la vostra giornata-tipo?
La giornata è scandita da orari che definirei “occidentali”, quindi dai pasti.
Si inizia la mattina con la colazione. Alle 8 si partecipa a una breve riunione giornaliera in cui vengono riassunte le principali novità che riguardano la base: spostamenti, attività particolari, comunicazioni varie. Poi ognuno si dedica al proprio lavoro.
Io nello specifico, mi occupo di diverse aspetti: dalla manutenzione straordinaria e ordinaria degli strumenti che sono disseminati nei vari shelter (container) nei dintorni della base, al controllo sulla qualità dei dati e al loro trasferimento in Italia. Mi organizzo, quindi, a seconda delle condizioni meteo giornaliere, per capire se permettono attività all’esterno.
La variabile principale, almeno in estate, è il vento. Troppo vento peggiora drasticamente le condizioni di lavoro e impedisce, per esempio, di lavorare in cima alla cosiddetta torre americana a 40 metri di altezza dove è presente una parte della strumentazione scientifica.
Il pranzo è preparato dal cuoco alle 12. Il successivo appuntamento comune è a fine giornata per la cena. Durante la giornata, a turno, ognuno svolge lavori nell’interesse comune: preparazione della colazione e pulizia degli spazi comuni, lavaggio piatti.
Le giornate possono essere anche stravolte dall’arrivo di un aereo che trasporta materiali scientifici, tecnici e rifornimenti di cibo fresco. Sembra un controsenso ma il cibo fresco deve essere immediatamente trasportato in base per evitare il congelamento che lo rovinerebbe. Dopo cena, chi non è troppo stanco (condizione assai frequente soprattutto nelle prime settimane di permanenza) si ritrova a scambiare due chiacchiere nel salotto, bere qualcosa, guardare un film e fare qualche gioco insieme. Le giornate sono stravolte anche dagli imprevisti: strumenti che smettono di trasmettere e devono essere ripristinati, oppure alcuni pezzi che devono essere sostituiti.
© PNRA
Ci puoi descrivere il paesaggio e cosa vedi dalla tua “finestra”?
L’unico modo che si ha per orientarsi quaggiù è attraverso le asimmetrie presenti nei dintorni. Le due torri che costituiscono il corpo centrale della base sono circondate da shelter (container) di diversa forma e colore. Quasi tutte le installazioni si trovano entro un chilometro in linea d’aria dalla stazione, sono raggiungibili a piedi (e d’inverno SOLO a piedi) e sono ben visibili dalla finestra. Sporgendosi dalla finestra, dopo aver aperto l’intercapedine che permette un miglior isolamento, appare una distesa di ghiaccio a perdita d’occhio: qualche puntino nelle prime vicinanze e poi nulla fino all’orizzonte. Nelle giornate migliori la superficie è distinguibile grazie alle ombre che la luce genera sulle asperità e le irregolarità formate dal vento: depositi, vere e proprie collinette (ma solo nelle prossimità di ostacoli artificiali che determinano l’accumulo di neve portato dal vento) e sastrugi, magnifici accumuli formati dal vento dalle forme allungate che ricordano le onde di un mare increspato.
Quanto tempo durerà la tua permanenza in Antartide?
Mi fermerò qui per un anno intero. Avrò così l’opportunità di vedere il cambio delle stagioni che qui è prevalentemente indicato dalla presenza o meno e dall’altezza del Sole, oltre che dal variare delle temperature. (dai -20°C dell’estate ai -80°C dell’inverno, la temperatura percepita a causa del vento, il windchill, può scendere anche sotto i -100°C). I mesi di oscurità favoriranno la ricerca in campo astronomico e, dal mio punto di vista di fisico dell’atmosfera, la possibilità di ammirare un cielo ornato da stelle mai viste prima di una luminosità difficilmente descrivibile. Ci sarà, forse, l’occasione di vedere le aurore australi, fenomeni magnetici che producono in cielo scie dai vividi colori verdi, azzurri e rossi.
Quali sono le tue prime impressioni sulla “vita in Antartide”?
L’Antartide appare ancora ai viaggiatori un terreno inospitale, estremo, incomprensibile. L’occhio dell’uomo moderno fatica a concepire luoghi privi di punti di riferimento in terra e continua a rimanere estasiato di fronte ai panorami che si presentano sulla costa: enormi iceberg intrappolati nel ghiaccio marino che descrivono il profilo costiero in maniera netta e precisa. Un buon pezzo di Antartide mi è ancora oscuro e lo rimarrà almeno fino al prossimo anno: non ho avuto l’occasione infatti di vedere animali: foche, pinguini, uccelli. Ma continuo a sentire un ritornello sulla bocca dei più esperti: “la vera Antartide è qui”. Staremo a vedere.
Si ringrazia PNRA e ENEA.
Il PNRA (Programma Nazionale di Ricerche in Antartide), nell’ambito del quale si svolge la Spedizione, è finanziato dal MIUR (Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca): gli enti attuatori del Programma sono il CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) che coordina le attività scientifiche, e l’ENEA (Agenzia Nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) che pianifica e organizza le Spedizioni antartiche dal punto di vista logistico.
Copyright immagini: PNRA.
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