Un deserto d’alta (Salar de Uyuni) quota in mezzo alle Ande.
Narra la leggenda (o almeno la versione che mi hanno raccontato) che un tempo ai piedi del vulcano Tunupa si stendesse una verde valle nella quale viveva una giovane e felice coppia di sposi.
Un giorno però, arrivò in questo tranquillo pascolo una ragazza straniera di cui il marito si innamorò perdutamente.
Partì con lei, abbandonando la moglie che da poco aveva dato alla luce il loro bambino.
La sposa rimasta sola, disperata, piangeva allattando il suo piccolo. E furono proprio le sue lacrime, mischiate al latte, a dare origine a uno dei più straordinari luoghi della terra: il Salar de Uyuni.
Il salar de Uyuni è il più grande deserto di sale del mondo (circa 12 mila kmq), a 3800 metri sul livello del mare.
Non ci sono parole per descrivere questo posto, visibile anche dalla luna.
Ogni aggettivo, per quanto ridondante, è inferiore allo spettacolo. Qui ci si sente davvero alieni. Nulla è più extraterrestre di questo spazio.
Nulla è più diverso da quello che la mente umana possa immaginare. Lo si attraversa con la jeep.
A seconda che sia asciutto o coperto da qualche centimetro di acqua, a volte sembra di volare, a volte di galleggiare in un mare bianco.
L’atmosfera è surreale. Tutto sembra sospeso. Anche quando si raggiunge la rocciosa isola Incahuasi, abitata da volatili e viscacce, e cosparsa di enormi cactus.
Tutt’intorno una distesa senza confini, dove l’orizzonte scompare e il cielo si confonde con la terra.
Di giorno e di notte, quando si possono guardare le stelle senza alzare gli occhi al cielo, perché si vedono anche lì, dritte davanti. E si può intuire persino la curvatura terrestre.
Nasce il desiderio di stare soli con se stessi, ascoltando il silenzio che circonda questa magia della natura.
Natura che, in questo viaggio che attraversa gli altopiani cileni e boliviani delle Ande, regala davvero paesaggi talmente belli da essere difficilmente descrivibili.
A partire dai colori.
Quelli delle montagne, marroni, nere, gialle, verdi. Quelli del cielo, di un blu profondo, che non ha eguali in nessuna altra parte del mondo.
E soprattutto quelli delle lagune: perché la Laguna Rossa è davvero rossa, la Laguna Verde è verde smeraldo, le altre sono di un azzurro intenso, su cui si specchia il rosa dei numerosi fenicotteri che abitano in questi deserti d’alta quota.
Ma c’è di più in questa avventura ai confini della realtà che abitualmente ci circonda. Nella zona che si attraversa, la “Pacha Mama” è viva, ed è possibile sentirne e vederne il respiro.
Per esempio negli sbuffi di fumo che salgono dai numerosi vulcani attivi come l’Ollague e il Canapa.
Oppure nei siti geotermici del Tatio e del Sol de la Manana. Camminando tra i gayser e le pozze di fango che ribollono, avvolti dai vapori sulfurei, nella dorata luce dell’alba, la domanda sorge spontanea: è l’ingresso all’inferno, forse?
No, è un altro aspetto del Paradiso che stiamo visitando.
Parte di questo Eden sono anche la Valle della Luna, con le sue formazioni di sabbia e pietra erose dal vento e dall’acqua. E il Salar de Atacama, con le sue rocce di sale, le sue pozze d’acqua, i suoi fenicotteri rosa.
Lo splendore spietato di una distesa arida, riarsa, battuta da venti impregnati di salnitro, ma sempre pronta al miracolo.
Come racconta lo scrittore cileno Luis Sepulveda che, in un suo famoso romanzo, ci regala l’illusione di un’improbabile fioritura di rose. Solo un giorno all’anno, il 31 marzo: ma forse altro non è che la crosta salina rosata che lo ricopre.
Domina il paesaggio il vulcano Licancabur, maestoso e malinconico, un cono perfetto che rispecchia i suoi 6000 metri nella Laguna Verde.
Guardandolo si pensa ai giovani Inca che sulla sua cima si sono sacrificati agli dei.
Un fascino dolce e struggente, invece, quello del Salar de Surire e della Riserva di Isluga e Las Vicunas, in mezzo a una “puna” (deserto d’alta quota) abitata da vigogne e alpache, che pascolano tra i giganteschi cactus a forma di candelabro.
In questo viaggio dove indiscussa protagonista è la natura, c’è spazio anche per ammirare quanto l’uomo ha saputo creare.
A partire da molto tempo fa. Come a Tiahuanaco, un centro cerimoniale megalitico vicino al lago Titicaca. Un sito archeologico ricco di mistero e magia, con la sua porta del Sole, la piramide Akapana e la piattaforma rituale Kalasasaya.
Enigmatica testimonianza di una civiltà perduta, che ancora oggi presenta aspetti inspiegabili.
Lungo tutto il percorso sugli altopiani, inoltre, si incontrano molti “pueblos” (villaggi) con le loro chiesette bianche che si stagliano contro il cielo blu.
Tra questi San Pedro de Atacama, un’oasi tra vulcani e salar. Con i suoi edifici in mattoni cotti al sole e la sua Iglesia rifinita con il legno del cactus cardon e strisce di cuoio al posto dei chiodi.
Un paesino che attira turisti sudamericani e non, anche perché ricco di locali e ristorantini tipici.
Infine, La Paz, capitale amministrativa della Bolivia, costituita da due parti: El Alto, a 4000 metri, dove ci sono i quartieri popolari, e la parte bassa, 400 metri più sotto, quella coloniale, zone residenziale e più ricca.
Entrambe dominate dalla triplice cima innevata del Vulcano Illimani.
Vale la pena di visitare il centro storico e soprattutto di perdersi tra le bancarelle del “Mercado de los Brujos” (mercato degli stregoni) dove è possibile trovare erbe, semi, amuleti, offerte alla Pacha Mama (la madre terra) e rimedi popolari contro le malattie o la sfortuna.
Questi spazi infiniti, fatti di contrasti cromatici incredibili e di silenzi rotti dal vento e dal crepitare dei salar per la forte escursione termica tra giorno e notte, sono rimasti per me indelebili fotogrammi di un viaggio fantastico.
Ricordi ancora vivi del grandioso spettacolo che la natura sa offrirci.
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