“Vai in Myanmar, prima che sia troppo tardi”. Questa frase me l’hanno ripetuta talmente tante volte, che a un certo punto mi sono deciso e sono partito per visitare il Myanmar.
Come tutti i Paesi che da poco hanno deciso di riaprirsi al mondo esterno, anche il Myanmar è cambiato notevolmente negli ultimi anni. Chi ha avuto l’occasione di visitarlo più volte nel corso del tempo ha visto un Paese in evoluzione continua, proiettato verso il futuro con la tipica velocità dell’Asia.
Per quanto mi riguarda, di questo angolo di mondo avevo visitato solo Thailandia, Cambogia, Vietnam, India. Era giunto il momento di seguire i consigli e partire per il Myanmar.
Il viaggio è emozione, esperienza, ricordi. Per questo non voglio raccontare il mio viaggio tappa dopo tappa: volendo utilizzare un’analogia tipicamente orientale, parlerò di Myanmar con i più e i meno.
Cominciamo con i più.
Il Myanmar è più caldo. Ci sono stato ad agosto, in quello che sicuramente non è il periodo migliore dell’anno. Ecco, ad agosto in Myanmar fa un caldo esagerato: temperature elevate, umidità altissima, aria rovente. Bastano dieci minuti all’aria aperta e avrete nuovamente bisogno di una doccia, o quanto meno fareste meglio a farvela.
Naturalmente questo non mi ha minimamente impedito di visitare alcune attrazioni, come la collina di Mandalay: una salita di circa 1.700 scalini (rigorosamente a piedi nudi) attraversando piccole pagode fino alla cima, dalla quale si respira un’atmosfera di assoluta pace e spiritualità.
Il Myanmar è più grande. Non nel senso geografico del termine, quanto piuttosto per la sensazione di spazio. In Myanmar sembra di avere l’immensità a vostra disposizione. Un perfetto esempio è Bagan. Il complesso di templi è uno spettacolo straordinario immerso in una pianura sconfinata. La sensazione che si prova è di essere finiti su un altro Pianeta (un pianeta rovente, aggiungerei), dove le regole spazio-temporali assumono una connotazione completamente nuova.
Il Myanmar è più silenzioso. Anche qui, non intendo il silenzio nel senso acustico del termine. Il silenzio del Myanmar è più profondo, come se suoni e rumori avessero delle frequenze diverse rispetto al resto del mondo. Il frastuono di Yangon, per esempio, è uguale a quello di tutte le altre metropoli dell’Asia. Ma per qualche motivo è meno fastidioso, più accettabile rispetto alla cacofonia di Bangkok o di Saigon.
E dai più passiamo ai meno.
Il Myanmar è meno scontato. Mi spiego. Non voglio dire che esistano Paesi banali: semplicemente, in Myanmar le attrazioni rivelano la loro bellezza con fare riservato e discreto. Prendiamo il lago Inle, un immenso specchio d’acqua famoso per i pescatori in equilibrio su una gamba sola. Ecco, il lago Inle riserva emozioni di viaggio uniche: monasteri nascosti nella vegetazione, piccoli villaggi che si perdono tra i corsi d’acqua, grandi montagne sullo sfondo. E poi il silenzio: profondo e rasserenante come una ninna nanna.
Il Myanmar è meno facile. Chiariamoci, non è un Paese difficile da visitare, semplicemente bisogna viverlo da viaggiatori e non da turisti. A prima vista, ad esempio, Yangon è una metropoli confusa e disordinata. Ma basta visitare la Pagoda Shwedagon, capolavoro di architettura e spiritualità, per dimenticare il traffico e il caldo opprimente.
Se proprio devo trovare un difetto, il Myanmar è meno “buono”. Il cibo non è propriamente il massimo, sembra un mix di thailandese, indiano e cinese, cucinato in fretta e con l’aggiunta di una montagna di olio. Naturalmente non mancano le eccezioni: a Bagan si trovano ristoranti eccezionali dove si mangia benissimo e si bevono ottimi cocktail.
Insomma, per quanto mi riguarda il Myanmar è così.
Facile da amare.
Difficile da dimenticare.
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