ATTRAVERSO LA MANCIURIA, LA SIBERIA E GLI URALI
Grande stupore, quasi costernazione, si nota sulle facce del personale di bordo in 1° classe sull’ MD11 di Swissair, in partenza da Zurigo, destinazione Pechino, quando dei passeggeri insoliti e dall’aspetto “avventuroso”, prendono il loro posto.
Questa prima manifestazione fa presto largo ad un’atmosfera simpatica, rendendo il volo piacevolissimo per noi, coccolati dalle comunità, e per le hostess una gradevole novità. Siamo un gruppo di dieci persone, la metà di noi ha fatto parte nel 1989 del Raid Lecco-Pechino, che aveva percorso con tre pulmini la vecchia via della seta, attraversando la Jugoslavia, la Grecia, la Turchia, l’Iran, il Pakistan e il Karakorum fino in Cina.Il viaggio che andiamo ad effettuare questa volta è la continuazione del precedente: inizieremo da Pechino e attraverso la pianura del nord (Manciuria) e la Siberia raggiungeremo Mosca, per poi proseguire per Milano.
La precisione svizzera ci stupisce quando dopo 12 ore di volo ininterrotto, l’aereo atterra puntualissimo alle ore 12:35 (“previste”), ora locale, a Pechino.
È bello ritornare in questa città, che avevamo lasciato nel 1989 nella tristezza dei fatti accaduti. Ora sembra tutto dimenticato: la piazza Tienanmen, allora chiusa, la rivedo brulicare di frenetici cinesi e turisti a caccia di fotografie. Noi con una bicicletta pedaliamo alla ricerca di nuove sensazioni e situazioni. Dopo aver trascorso alcuni giorni piacevoli nella capitale dell’Impero Celeste, voliamo con aereo della compagnia cinese ad Harbin, capitale della Manciuria, una grande città di circa 3.500.000 abitanti.Questa regione situata all’estremo nord-est della Cina, è principalmente agricola e il passaggio della Transiberiana ha favorito lo sviluppo di centri industriali, attorno alla città. Harbin è un capoluogo molto vivace, famoso anche per la celebrazione del festival invernale, dove nei gelidi mesi di gennaio e febbraio vengono realizzate dagli artisti cinesi grandissime sculture di ghiaccio, il tutto tra esibizioni teatrali, giochi e gare sportive.
Ci divertiamo molto al mercato notturno, dove le bancarelle illuminate da lampade a gas offrono una notevole quantità di cibi che noi assaggiamo curiosi; ma il nostro coraggio si spegne quando ci vengono offerte delle code di maiale caramellate.Proseguiamo il nostro viaggio in treno sul tratto della Transiberiana Harbin-Monzhouli, il villaggio di frontiera fra la Cina e l’Unione Sovietica. Nello scompartimento di prima classe a 4 letti ci sistemiamo con tutti i bagagli e approfittiamo subito del vagone ristorante per berci una discreta birra cinese.
Un meraviglioso spuntare del sole mattutino dietro un paesaggio di verdi pascoli e fresca nebbiolina, ci risveglia ad un nuovo giorno di incontri e scoperte. Molte volte, il paesaggio selvatico e quieto è interrotto da grandi impianti industriali, attorno ai quali si raggruppano numerosissime casette di mattoni, silenziose e sporche si fuliggine.
Sembra che la gente sia costretta ad una vita sacrificata e triste, eppure leggo contentezza e fiducia sulle facce delle persone che col treno ritornano a casa, chissà da dove, carichi di bagagli.A poco a poco il treno, nelle sue fermate, si svuota; su questo tratto non si sale mai, si scende soltanto, perché si va verso la frontiera con la Russia. Serpeggiando, il treno attraversa una vasta area di colline verdi con mandrie immobili al pascolo; siamo ormai a Monzhouli e attraversiamo un tratto della Mongolia interna.
Al villaggio finisce la linea ferroviaria cinese, per proseguire si cambia treno e scartamento. Al mercato, è molto attivo il commercio con i russi che acquistano di tutto, barattando caviale, matrioske e orologi.
Osservo incuriosita una donna russa, alta e bionda ossigenata, che si dà un gran daffare in mezzo alle bancarelle, stringendo sotto il braccio due bambole bionde come lei, con l’intenzione dio scambiarle con qualcosa di desiderabile. Finalmente si decide per una camicetta rosa con le maniche a frange e abbandona alla signora cinese, dopo una lunga contrattazione, le sue bambole. Dopo il solito caos per passare la frontiera cinese, saliamo su un treno nuovo fiammante che ci porterà in Russia.
Un’altra fermata in un luogo fatto di postazioni di guardia e filo spinato: è la seconda frontiera. Fa un certo effetto attraversare un confine fra due grandi potenze come la Russia e la Cina. Sul treno salgono alcuni militari per effettuare i controlli. Nella confusione dei viaggiatori, i carichi di bagagli, passati “al setaccio” dalle mani e dagli occhi degli ufficiali, la porta del nostro scompartimento si apre ed una vecchietta buriata deposita davanti a me una grande valigia, ci guarda sorridendo, e silenziosa sparisce dietro il vetro della porta.
La furba nonnina ha intuito che noi non saremmo stati sottoposti ad un controllo rigoroso come il loro. Ed è proprio così.
In territorio russo, superati tutti i controlli, lei riappare e sorridendo di nuovo, ritira il suo borsone inchinandosi per ringraziare. Sfortunatamente il meccanismo dell’aria condizionata di questi vagoni nuovi non è ancora in funzione, per cui dobbiamo resistere ad un caldo torrido, nonostante siano aperti tutti i finestrini.
Guardo dal vetro comodamente sdraiata uno scenario spettacolare.
Nella luce della sera un paesaggio solitario senza fine, fatto di foreste di pini e betulle, di laghetti e torrenti e sullo sfondo un cielo rosso oro, colorato dal sole ormai tramontato. A volte il treno si ferma in piccole stazioni deserte, illuminate appena, dove altoparlanti rimbombanti danno la sensazione di luoghi spettrali. Poco a poco il paesaggio si riempie di vita. più frequentemente passiamo villaggi dalle tipiche case di legno con gli orti intorno, e una strada di poco traffico ci suggerisce l’avvicinamento alla città. Verso le 10 arriviamo a Chita, primo importante centro dell’ Unione Sovietica, dove ci aspettano otto russi dell’organizzazione Kamaz. Con loro cercheremo di compiere il percorso per raggiungere Mosca (fino ad ora mai realizzato completamente), a bordo di due Jeep Niva 4×4 e due pulmini Waz 4×4.
Dopo alcune preparazioni necessarie, ci mettiamo sulla strada per Ulan-Ude, prima tappa del nostro raid. Il paesaggio è raccolto in un’atmosfera rilassante di contadini al lavoro sulle grandi colline coltivate, macchiate qua e là da boschi di pino rosso.Circa 100 km prima di Ulan-Ude, si entra nella regione autonoma della Buriazia. I Buriati sono di origine mongola e si sono insediati in questa area già dall’epoca di Genghis Khan. La loro principale attività è l’agricoltura, ma negli ultimi anni stanno organizzando delle strutture turistiche, mentre l’industria è completamente statale.
Bellissimi sono i villaggi con le case di legno colorato, il telaio delle finestre e porte intagliato e i giardinetti di fiori, affettuosamente coltivati. Anche la panchina sulla strada non deve mancare per vedere e farsi vedere e ogni tanto chiacchierare con il vicino. Una nonna è seduta con la sua bonaria faccia da contadina, incorniciata da un foulard a grandi fiori mentre culla la piccola nipotina, anche lei con un fazzoletto di fiori colorati in testa.
A 40 km a sud di Ulan-Ude si trova il Monastero di Ivolginsky, fondato nel 1816 da pellegrini tibetani, guidati dal Lama.
Già da lontano si notano i templi colorati, isolati in una rada, fiancheggiata da un grande fiume. La struttura del Monastero è composta di due templi centrali, alcune cappelle laterali e oltre le lunghe file delle preghiere rotanti si trovano le abitazioni dei monaci. Le stupe bianche, posizionate nel prato antistante, sono quasi completamente ricoperte dai lunghi pezzi di stoffe svolazzanti, lasciate dai fedeli, quasi tutti buriati, per le loro preghiere.
Entriamo nel tempio principale, dove si svolge la funzione religiosa. L’altare è adornato di tantissime statuette del Buddha e da animali di gesso dipinti di colori forti.
Da una porticina affluiscono i credenti, i quali lasciano un biglietto con la loro “grazia” richiesta al chierico, che dopo essersi lavato mani e faccia li consegna ai monaci. Secondo il rango e l’età, seduti in doppia fila su banchi ricoperti da teli ricamati, i monaci, vestiti da grandi stoffe rosse e arancioni, celebrano il rito. Dopo lunghi canti, mangiano del pane e bevono del tè, offerto dai fedeli, mentre leggono i bigliettini delle richieste, per poi riprendere la cantilena delle orazioni. Alla fine, fuori dal tempio, i monaci diventano cordiali e simpatici ed alcuni anche abili negli affari. Ulan-Ude si trova a sud-est del lago Bajkal, che con la sua larghezza di 80 km, la lunghezza di 636km e la profondità di 1637 m è il serbatoio di acqua dolce più grande del mondo. Bajkal deriva dal turco “bajkul” che significa “prosperoso” e “abbondante”.
Il lago, da sempre luogo di interesse naturalistico molto importante e studiato dai più famosi scienziati sovietici, è ora al centro di polemiche fra gli enti ecologici mondiali per via dell’inquinamento, provocato dagli scarichi delle cartiere nella sua costa sud. Gran parte della terra intorno al lago è ancora inesplorata e vergine, noi percorriamo la sua riva orientale fino al villaggio di Turca, un piccolo centro di pescatori e boscaioli.
Le casette, tutte di legno, sono tipicamente siberiane: piccole, con l’orticello racchiuso dalla staccionata, vasi di fiori sui davanzali delle finestre e grosse cataste di legna, pronte per essere bruciate durante il lungo e freddo inverno. In un piccolo cimitero alcune mucche pascolano fra le tombe racchiuse da inferiate, appunto per non essere calpestate.Ritorniamo a sud per attraversare il delta del fiume Selenga, il più grosso immissario del Bajkal, per poi raggiungere Irkutsk. Questa bellissima città, famosa per le vicende di Michele Strogoff, è oggi il centro più importante della Siberia orientale. Il fiume Angard, che da qui raggiunge il circolo polare artico, lo costeggiamo per 65 km fino alle rive occidentali del lago, dove facciamo un campo, nella colorata solitudine di questo paesaggio.
Mentre il lago scintilla nel sole di mezzogiorno, passeggio per le colline nella taiga; strade carrozzabili non ce ne sono più, si può proseguire soltanto via acqua o a piedi, sui sentieri che tagliano i prati profumati ed i fitti boschi di conifere e latifoglie. Qui il tempo si è fermato, sicuramente questo luogo non è cambiato da 1000 anni, uno strano ed incredibile pensiero per un europeo.Due giornate rilassanti e sportive (abbiamo infatti con noi un surf a vela e dei parapendii) le trascorriamo nella piena libertà di questi luoghi. La sera, sotto il cielo stellato siberiano, ascoltiamo Sergey che canta un inesauribile repertorio di canzoni russe, alcune allegre, altre malinconiche, accompagnandosi con una chitarra.
Lasciamo la Buriazia e percorriamo il tragitto da Irkutsk a Krasnojarsk.
Ci aspettano circa 1000 km di strada sterrata, anche se inizialmente le condizioni sono accettabili, perché viaggiamo sull’unico collegamento tra la città ed i grossi complessi industriali che a nord producono uranio e plutonio. Qui la gente, avvolta da un abbigliamento scuro, appare indifferente; non è scortese, non è affettuosa, non è allegra e nemmeno triste, soffre il disagio della sua condizione difficile. La fornitura di carburante diventa ogni giorno più precaria.Molte volte bisogna fare lunghe deviazioni nei vari villaggi della taiga per trovare pochi litri di benzina. Raggiungiamo un poco stanchi Krosnojarsk ed il giorno dopo ci sgranchiamo nel parco nazionale di Plants, con le sue rocce tonde ammucchiate. La strada è in pessime condizioni, ma ci appassiona percorrerla con i fuoristrada, mentre tagliamo la grande pianura siberiana verso Novosibirsk, grosso centro economico e culturale, sorto in questo secolo, il cui sviluppo è stato favorito dal passaggio della Transiberiana.
Ora il tempo è diventato umido e piovoso, ciò rende la condizione della pista abbastanza critica e ci fa procedere lentamente e con cautela. A volte ci troviamo nel fango che ci impedisce di proseguire: è veramente assurdo pensare alla condizione della gente di questi villaggi, isolata in inverno per il freddo e la neve, e d’estate perché non ha una via di collegamento per le grosse città. Noi con molta fatica e molto tempo riusciamo a tirarci fuori dal tratto paludoso, rischiando a volte di compromettere il funzionamento delle macchine.È interessante comunque vivere, con qualche camionista e qualche militare, l’alleanza per superare la difficile situazione ed il fango. Dopo una sosta ad Omsk, città sulle rive del fiume Irtisch, sul quale navigano lunghe zattere che trasportano in gran parte legname, proseguiamo per Petropavlosk, nella regione del Kazachistan. 19 agosto: un giorno storico. I nostri amici russi che con apprensione seguono gli avvenimenti alla radio, ci informano dettagliatamente del colpo di stato avvenuto a Mosca.
La città di Petropavlosk è calma e nelle strade non c’è segno di agitazione o disagio, anzi noto che qui la gente sta meglio che negli altri centri della Siberia. I negozi sono abbastanza riforniti e per le strade le bancarelle vendono cibi e vestiti. Mi lascio incuriosire da un negozio con la musica, sicuramente privato, che offre a prezzi altissimi merce europea. Noto una felpa di “Iceberg” al prezzo di 850 rubli; assurdo, considerando che un ingegnere guadagna mensilmente tra i 300 e i 400 rubli.Il giorno seguente attraversiamo la più grande depressione della Siberia, una vasta pianura interamente coltivata e annerita a volte da impianti industriali e petroliferi che emanano nuvole di fumo dall’aspetto tossico.
Avvicinandoci a Mosca, diventa sempre più difficile il rifornimento di benzina. Da due ore ci troviamo in una lunga coda di macchine davanti all’unica pompa di un distributore, sperando che al nostro turno rimangano i litri a noi necessari per arrivare alla prossima città. I nostri amici ci spiegano che ultimamente la fornitura alle stazioni di servizio è sempre più rallentata e che è iniziato il razionamento. A Sverdlovsk facciamo un controllo alle macchine, ridotte abbastanza male dalle strade percorse negli ultimi giorni. Qui la strada ritorna in buone condizioni e attraversiamo gli Urali per raggiungere Perm che fino all’anno scorso era chiusa agli stranieri per via delle sue fabbriche militari.Ora è il centro delle organizzazioni turistiche per tutto il territorio degli Urali, dove si può fare alpinismo, sci, trekking, rafting, ecc … Discendiamo verso il “Volga” attraversando le città di Jelabuga e Kazan fino a Vladimir. Questa città con Susdal, Zagorsk e Rostov fa parte dell’“Anello d’Oro”: vecchi centri di residenza degli Zar e sedi dell’ allora potente e ricca Chiesa Ortodossa. Visitando Susdal e Vladimir con le loro testimonianze di architettura antica, dei Monasteri e delle Chiese, rimango impressionata dalla profonda fede di un popolo che per 60 anni non ha potuto praticare ed esprimere la propria religione. Da tutte le direzioni affluiscono i credenti, riempiendo la magnifica cattedrale di Uspenskij costruita nel 12° secolo.
In fila le persone di ogni età salgono le scale fino all’altare che espone un’antica icona della Madonna, solennemente adornata da fiori e ceri. Con devozione accendono candele, baciando rispettosamente il dipinto, mentre il prete li benedice; tutto in un’atmosfera pomposa di ori, argenti e preziose icone, che contrasta con la semplice e povera immagine dei fedeli. Gli ultimi 200 km che ci portano a Mosca li percorriamo nell’euforia di aver completato un raid difficile ma divertente.
Il viaggio si ferma e noi rientriamo in Italia in aereo perché la situazione politica non ha permesso di organizzare il proseguimento attraverso l’Ucraina e la Bielorussia, in pieno subbuglio dopo il tentato colpo di Stato, le cui sommosse non garantiscono la nostra incolumità.
Abbiamo percorso 7000 km attraverso tutta l’Unione Sovietica, questa irrequieta nazione, ora nella sua metamorfosi più difficile.Noi abbiamo osservato questo popolo cercando di capire il suo carattere e le sue contraddizioni.
Con gli otto russi, componenti della nostra spedizione, ci siamo scambiati la mentalità la cultura, i diversi modi di vita e sicuramente abbiamo creato un’amicizia che rimarrà per sempre viva, come parte essenziale del nostro viaggio.
Testi e foto di: Bruno Gaddi
Lascia un commento