Sono un appassionato di deserti. Dopo aver girovagato molte zone aride del pianeta, mancavo ancora all’appuntamento con un viaggio che sognavo da tempo: gli altipiani andini di Cile e Bolivia.
Molti i resoconti che avevo letto, molte le foto viste e i racconti degli amici, tanto da aver creato aspettative non facili da soddisfare. Sui deserti si è scritto tanto. Alcuni addirittura ci hanno costruito sopra un viaggio parallelo: volto a indagare gli aspetti personali della propria geografia interiore, come se il deserto stimolasse la conoscenza di sé stessi più di altri luoghi. Altri si sono soffermati sugli spazi immensi e sulla loro esplorazione.
Fatte alcune eccezioni, chi scrive di deserti ha una scrittura asciutta, minimale, chiara, precisa. Verrebbe da dire che dei deserti se ne deve parlare in modo quasi ellittico, per sottrazione più che per aggiunte. Ci si concentra sull’essenziale.
E forse non potrebbe essere altrimenti visto che lo spazio si dilata e lo sguardo si posa sul paesaggio con lentezza, come la sabbia dopo una tempesta di vento.
Molti scrittori hanno avuto bisogno di limiti fisici per immaginare gli spazi infiniti oltre quello che lo sguardo nasconde: una siepe, un muro, un castello. Al contrario, il deserto, paradossalmente, crea un limite all’immaginazione, la vanifica.
Nel deserto il cielo sbatte contro la terra e lo sguardo vaga alla ricerca di punti di riferimento. Per questo l’immaginazione ne viene danneggiata: non ha ostacoli da superare e si smarrisce, come molti viaggiatori delle sabbie.
Con questi pensieri in mente un sussulto mi riporta alla realtà: abbiamo toccato terra. Siamo a Santiago del Cile. Una città che, seppure nella nostra breve permanenza, ci regala un piacevole soggiorno: pulita, ordinata, accogliente con la sorpresa del barrio Bellavista con i suoi murales, la movida e l’atmosfera vagamente bohemien.
Ma il punto di partenza del nostro viaggio nel deserto ci attende: San Pedro de Atacama (Cile); un posto turistico che ha però una particolare atmosfera hippye, derivante dal fatto che qui si sono stabiliti molti giovani seguaci della new age e dell’esoterismo. Passeggiare per le due strade principali del centro, polverose e colorate, si rivela da subito un’esperienza piacevole e rilassante.
La valle de la Luna, i geyser di El Tatio, le splendide lagune Miscanti e Minique, la laguna Chaxa, posta all’interno del salar de Atacama, sono i meravigliosi luoghi visitati nei tre giorni di permanenza a San Pedro. Cieli tersi dai colori cobalto, l’argilla color fango, il bianco del gesso e della salgemma, il verde e il blu delle acque delle lagune danno solo una pallida idea della miriade di colori che assume il paesaggio. Volendo si possono dedicare più giorni alla zona intorno ad Atacama e spingersi verso luoghi più remoti e meno battuti o tentare, con l’aiuto delle tante agenzie del posto, un trekking verso uno dei vulcani della zona, tutti più o meno raggiungibili senza grandi difficoltà tecniche, ma che richiedono comunque buona preparazione fisica.
La valle de la Luna e il geyser El Tatio sono i luoghi che più richiamano turisti: il primo è una depressione desertica che un tempo era un lago, dove avvallamenti di dune lavorate dal vento creano paesaggi lunari, il secondo è un luogo primordiale che alle prime luci del giorno produce pennacchi alti di vapore tra i quali si può passeggiare, stando però bene attenti a non avvicinarsi troppo ai bordi delle pozze d’acqua. Qui all’alba, inoltre, abbiamo registrato la temperatura più bassa dell’intero viaggio: meno diciotto gradi.
Una delle cose che sicuramente più colpisce dei panorami intorno ad Atacama è la loro varietà. Si passa dal deserto che ricorda i pianeti dei film di fantascienza alle lagune immacolate dove i fenicotteri puntellano di rosa il bianco del salar e il blu del cielo. Un’altra cosa da sottolineare è l’attenzione e il rigore che i cileni dedicano ai parchi nazionali. Provare a uscire dai sentieri, non prestare la dovuta attenzione ai vari segnali di corretto comportamento ambientale, genera l’immediato intervento dei ranger.
Da questo punto di vista il Cile ricorda molto i parchi nord americani, contrariamente alla Bolivia dove le autorità chiudono con più facilità un occhio. Ed è un peccato perché il rischio di rovinare questi paesaggi è alto, vista la mole di turisti che ogni anno li frequentano.
I paesaggi boliviani sono semplicemente straordinari: la laguna bianca, la verde e la colorada, che si attraversano tutte in un solo giorno, rappresentano uno dei punti più alti del viaggio. La colorada è la più famosa con le sue acque rosse e la presenza di colonie di fenicotteri. Raggiungerla è una delle esperienze più belle del viaggio. Si lasciano i fuoristrada vicino a una zona paludosa ricca di colorazioni rossastre, si sale poi una piccola collina alla cui sommità si apre uno spettacolo incredibile: sotto di noi una grande estensione di acqua rossa avvolge tutta la valle circondata all’orizzonte dalle montagne innevate. Centinaia di fenicotteri rendono viva la laguna con il loro volo a pelo d’acqua e il loro incedere flemmatico in cerca di cibo.
Si ha difficoltà a paragonare quello che ci troviamo di fronte a qualche esperienza simile fatta nel passato. In questo stato di stupore si rimane completamente rapiti dalla vista e se non fosse per il vento e il freddo pungente verrebbe voglia di guardare questa laguna per ore. Alla fine della giornata si è increduli della varietà degli ambienti attraversati: le cime innevate dei vulcani che circondano le lagune con i loro picchi di 5000-6000 metri, l’atmosfera rarefatta che si respira e l’innaturale sensazione di sentirsi abitanti di un nuovo pianeta. Tutto, qui, appare a portata di mano, come in un immenso plastico, dove le distanze vengono azzerate.
Per chi avesse la possibilità di camminare anche solo per un paio d’ore tra queste lagune l’esperienza è davvero unica: osservare il volo dei fenicotteri, l’incedere di un gruppo di vigogne, o soltanto soffermarsi su una piccola pozza di acqua salmastra e i suoi colori, è qualcosa che non si dimenticherà facilmente. O anche vagabondare incuriositi tra le pietre infilzate nella sabbia, come piccoli pinnacoli, di quello che viene chiamato il deserto di Salvator Dalì, o sostare sotto le strane formazione a fungo del deserto de Siloli che molto ricorda il deserto libico-algerino dell’Akakus.
Ma a meno che non si dorma nei rudimentali rifugi che ogni tanto si incontrano durante il cammino è davvero difficile poter avere il tempo di fermarsi ogni volta che se ne ha voglia e vagabondare tra pietre, sabbia e cielo senza meta e senza scopo.
Certo, sarebbe bello poter vedere l’alba dalla laguna colorada, soprattutto per chi ama fotografare, la luce delle prime ore del mattino da queste parti è molto particolare, complice anche la pulizia dell’aria. Non a caso il più grande osservatorio del mondo si trova proprio nei pressi di San Pedro de Atacama.
Oltre alle lagune, tra cui ricordiamo anche quelle di Honda, Chiarkata, Cotal e la Negra, c’è un posto per cui il deserto boliviano è famoso: il salar de Uyuni, la più grande distesa salata del pianeta. Non c’è foto che possa restituire la sensazione che si prova salendo sull’isola di Incahuasi, un piccolo promontorio di circa 150 metri di altezza ricoperto di cactus, dove la vista spazia su un bianco abbacinante per chilometri e chilometri.
Negli anni il posto è diventato sempre più turistico ma conserva intatto il suo fascino di crocevia di antiche carovane di sale, oggi sostituite da bus di linea che trasportano lavoratori boliviani verso il confine con il Cile.
Da qui attraversando il salar de Coipasa ritorniamo lentamente verso il Cile, compiendo un anello che ci porterà ad esplorare altre zone, senza dover tornare sui nostri passi, come tanti gruppi fanno perdendo la possibilità di vedere un altro pezzo di Cile di rara bellezza e solitudine. Infatti, la zona del parco nazionale de Surire e la riserva Isluga e Las Vicunas, è poco frequentata dai turisti e permette di godersi in completa solitudine alcune lagune che non sfigurano affatto rispetto a quelle più blasonate.
Qui, inoltre, è possibile incontrare, a oltre 4000 metri di quota, delle acque termali dove immergersi senza la presenza di altri turisti, come invece avviene presso la zona della laguna bianca boliviana. Inoltre, in questi parchi cileni, si può avere la possibilità di avvicinare gli indios di origine aymara e i loro villaggi, al cui interno troviamo chiese di architettura cosiddetta povera. Anche se va detto che questo non è un viaggio a carattere etnico, qui si viene per immergersi in alcuni dei panorami più belli del nostro pianeta e nella loro incredibile luce.
Testo e foto di Paolo Artuso
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