Viaggiare è una passione e uno stile di vita. Raccontare un viaggio è il modo migliore per esprimere le emozioni che giorno dopo giorno, chilometro dopo chilometro, un viaggio sa regalare. Per questo oggi diamo la parola a Paola, una nostra cliente e amica che è da poco tornata da un viaggio in Guatemala, in una delle aree più affascinanti e meno conosciute del Paese.
Ecco a voi il suo racconto di viaggio e le sue fotografie, buona lettura!
Sono molti i motivi per i quali si può scegliere un viaggio in Guatemala; per scoprirne la storia visitando i suoi importanti siti archeologici e le sue architetture coloniali, per ammirare la varietà dei suoi ambienti naturali, per conoscere i costumi e le tradizioni dei suoi abitanti visitando i suoi villaggi e i suoi vivaci mercati.
Ma vi sono zone ancora poco frequentate dal turismo tradizionale, tanto che nelle guide di viaggio o vengono ignorate o appena accennate e anche sui motori di ricerca le notizie reperibili sono scarse.
Sono i remoti siti archeologici di El Ceibal e di Aguateca raggiungibili navigando lungo il Rio de la Pasion da Sayaxché fino alla Laguna di Petexbatun. Si trovano nel Peten, la più grande regione del paese, scarsamente abitata e quasi completamente ricoperta dalla foresta pluviale nella quale si celano, sepolte dalla vegetazione, antiche città maya ancora in gran parte da scoprire. Piccoli fiumi collegati da tortuosi affluenti costituiscono ancora oggi, come ai tempi dei Maya, le principali vie di comunicazione. Pochissime sono le strade e per lo più sterrate.
Un’escursione in queste zone è un’emozionante avventura, consigliabile a chi desideri sentirsi per una volta Indiana Jones. Unisce il piacere di immergersi in un ambiente incontaminato al fascino della scoperta, perché arrampicarsi nella giungla in solitudine, anziché arrivare a bordo di pullman carichi di turisti, per raggiungere i resti delle città Maya fa rivivere le stesse emozioni che dovevano aver provato i primi scopritori.Sayaxché è un’anonima cittadina sul Rio de la Pasion, dove non esiste un ponte ma un traghetto che fa incessantemente la spola da una sponda all’altra carico di camion, bus, motocicli creando un divertente caos agli occhi del turista occidentale, non abituato a questo genere di trasporti.
Ci si imbarca su una piccola lancia di metallo scendendo per una ripida scarpata sul fiume dall’aia della casupola del lanchero, tra un nugolo di bambini e animali da cortile. Lungo il tortuoso Rio de la Pasion lo spettacolo della giungla è entusiasmante, davanti a noi cormorani volano in formazione, si tuffano e scompaiono per poi uscire e decollare sul pelo dell’acqua come degli idrovolanti, aironi bianchi e cinerini sulle rive del fiume scrutano l’acqua in attesa di prede ed ogni tanto si alzano in volo maestosi. Può anche capitare come è successo a noi di scorgere sulla riva un grosso coccodrillo che,spaventato dal rumore del motore, si inabissa con un fragoroso “splash”…
Il nostro lanchero timona velocemente sterzando tra le anse del fiume e rallentando quando si avvicina a qualche barca di pescatori o a qualche piroga carica di merci, nella maggior parte dei casi legna che viene tagliata dagli indigeni per la cucina. Per un lungo tratto la vegetazione è bassa, folta, formata da cespugli e arbusti con radici acquatiche che si riflettono creando ricami e intricati disegni tali che quasi non si riesce a definire quale sia il limite tra la terra e l’acqua.
Poi la costa si alza e si è fiancheggiati da vere e proprie pareti di giungla dalle più svariate tonalità di verde con alberi ad alto fusto, palme, cedri, kapok, ceiba, ricoperti da piante rampicanti e attraversati da ragnatele di liane.
Si attracca ai piedi di una foresta dove un grande tronco di ceiba, albero sacro ai Maya, insieme a quel che resta di un cartello turistico, dà ai visitatori il benvenuto a El Ceibal.
Il percorso fino al sito archeologico è in salita ma breve ed agevole, su un sentiero ben tenuto in mezzo alla foresta.
Il concerto degli uccelli e gli inquietanti ruggiti delle scimmie urlatrici ci accompagnano lungo il cammino. Le emozioni della giungla continuano con l’incontro sul sentiero di un piccolo serpente dorato con uno splendido mantello a zigzag che ci dicono essere un piccolo di Barba Amarilla, uno dei rettili più velenosi dell’America Centrale, fortunatamente nei dintorni non si vede la madre che avrebbe potuto essere lunga fino a due metri.El Ceibal fu una città molto importante intorno al IX secolo perché, data la sua posizione strategica vicino al fiume, controllava gli scambi commerciali con le altre città Maya. Gran parte dei templi sono ancora sepolti sotto la vegetazione per cui non vi è molto da vedere se non alcune interessanti stele in discreto stato di conservazione.
I minacciosi nuvoloni neri già presenti durante il viaggio di andata al ritorno ci regalano un violento acquazzone tropicale… a nulla serve il piccolo tendalino della barca, e nonostante i k-way e il pesante telo di plastica offertoci dal barcaiolo terminiamo la nostra prima avventura da Indiana Jones completamente fradici.
La navigazione riprende lungo il Rio Petexbatun, affluente del rio della Pasion e ancora più stretto del precedente. In alcuni punti è così piccolo che si urta la vegetazione circostante, la lancia procede lentamente rischiando di incagliarsi nel basso fondale. Ed ecco finalmente aprirsi davanti a noi la grande laguna Petexbatun, con il promontorio di Punta Chimino dove attracchiamo per trascorrere la notte al Chimino’s Island Lodge.Il gestore ci accoglie festoso. Prima di accompagnarci al bungalow ci offre un caffé nella rustica hall di legno all’aperto, coperta da una tettoia di paglia. Ci indica le scimmie che tra le fronde più alte dei ceiba si dondolano appese per la coda e si lanciano con incredibile agilità da un ramo all’altro. Si starebbe ore con il naso all’insù ad osservarle, libere, vere padrone della foresta, noncuranti della nostra presenza… Ci sentiamo loro ospiti, e quasi onorati di essere accettati nel loro regno.
I bungalow su palafitte, immersi nella foresta, si raggiungono attraverso un sentiero e traballanti passerelle di legno. Non hanno né finestre né soffitto, ma solo zanzariere che ricoprono le ampie aperture attraverso cui si gode della splendida vista sulla laguna, immobile, mossa soltanto dai tuffi degli uccelli e dal passaggio di qualche rara piroga.
La corrente elettrica fornita da un generatore viene sospesa alle 22. La notte nella giungla è emozionante ma contrariamente a quanto ci si potrebbe attendere, non paurosa. I rumori di fronde spezzate, i fruscii improvvisi, un battito d’ali, un urlo di scimmie in lontananza, così diversi dai frastuoni della nostra civiltà, trasmettono una sensazione di pace, di gioia..
La mattina successiva si riprende la navigazione verso Aguateca. Lasciamo l’ampia laguna di Petexbatun per addentrarci nuovamente in uno stretto canale, la foresta è avvolta da banchi di nebbia che si spostano lasciando intravedere la magia dei colori della vegetazione e del cielo. Ad un tratto ci ritroviamo in una piccola laguna al fondo della quale si staglia una parete di roccia calcarea in parte nascosta dal verde degli alberi. E’ sulla cima dello sperone roccioso che sorgeva la città di Aguateca. E qui, come gli antichi Maya, iniziamo il faticoso cammino per raggiungere le rovine. Il sentiero in salita è roccioso, scivoloso per la pioggia del giorno precedente.
Giunti a quello che dovrebbe essere l’ingresso al parco, una spoglia costruzione di cemento, un addetto ci invita firmare il libro dei visitatori. Ad una rapida occhiata ci rendiamo conto che sono davvero pochi, al massimo una decina al giorno. Una guida ci scorta lungo il percorso che procede a saliscendi nella foresta talmente fitta che a stento si intravede il cielo. Dagli alberi, in parte ricoperti da piante epifite, scendono cascate di liane e intrecci di radici aeree.
Ci attende un’ultima sfida da superare, l’attraversamento della faglia geologica di Aguateca, un profondo strapiombo al fondo del quale uno strettissimo oscuro passaggio tra le rocce conduce all’uscita dal canyon. Questo passaggio costituiva la difesa degli abitanti dagli invasori. Infatti dall’alto della rupe potevano fermare la loro avanzata lanciando pietre.
La nostra fatica è premiata quando finalmente giungiamo alle vestigia della città. Davanti ai nostri occhi appaiono come per incanto un gran numero di edifici adagiati in mezzo a prati verdissimi e protetti da alti ceiba. Il loro stato è sorprendentemente buono tanto che Aguateca è considerata una delle città Maya meglio conservate.
Dalla maestosità del sito si intuisce l’importanza che aveva durante il tardo periodo preclassico, epoca a cui risalgono i primi insediamenti. Aguateca era infatti capitale di una potente dinastia discendente da Tikal.
Poco si conosce circa la sua fine ma intorno all’800 fu probabilmente attaccata dai nemici, l’area residenziale venne incendiata e gli abitanti fuggirono precipitosamente dalle loro case lasciando tutte le suppellettili che vennero alla luce con gli scavi archeologici. Un tempio a piramide incompiuto rimane una delle strutture più suggestive insieme alla piazza principale e al complesso architettonico del palazzo reale.
Lasciato questo luogo magico riprendiamo la strada del ritorno e sulla nostra lancia ci godiamo ancora per qualche ora l’incanto della navigazione nella foresta. E’ sabato pomeriggio e i canali sono animati quasi come come le vie di un paese nei giorni prefestivi. Intere famigliole in barca, dedite alla pesca, altre sulle rive a fare picnic, donne che lavano i panni, bimbi che giocano e si bagnano chiassosi. Tutti ci rivolgono allegri gesti di saluto.La foresta pluviale non è solo l’ecosistema più complesso della terra, regno della biodiversità, con migliaia di specie animali e vegetali differenti. È ancora un luogo vissuto dai suoi abitanti, anche se non più come un tempo nomadi e cacciatori. La tecnologia non è ancora di casa da queste parti, non vi sono antenne, né wifi né videogiochi…i bimbi giocano ancora in mezzo alla natura…
Per quanto tempo ancora?
Testo e foto di Paola Reviglio
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