Chi volesse risalire alle origini del viaggio di piacere, su cui si sarebbe poi innescato il rigoglioso ramo del turismo quale oggi lo conosciamo, dovrebbe arretrare fino alla stagione del Grand Tour.
Alla fine del Seicento e sempre più nel corso del Settecento i viaggi, che avevano avuto un carattere invariabilmente strumentale, riproponendosi un risultato economico, militare o religioso, vengono per la prima volta intrapresi all’insegna della libertà e della gratuità.
Si tratta di esperienze che ancora a lungo sarebbero rimaste appannaggio di ristrette élite, ma segnano una svolta epocale nella storia della mobilità.
La consuetudine dei viaggi di istruzione dei rampolli delle classi nobili si diffuse in tutta Europa a partire dall’Inghilterra, dove nel 1780 incontriamo la prima attestazione della parola tourist.
I nuovi viaggi non avvenivano più sotto il controllo delle vecchie agenzie che avevano sovrinteso alla mobilità: le corporazioni dei mercanti, la Chiesa o le università.
A limitare rigorosamente alle classi superiori la pratica del Grand Tour provvedevano i costi proibitivi delle trasferte. Avvenivano con confortevoli mezzi privati, prendendosi tutto il tempo necessario, con l’accompagnamento di un vigile tutore, oltre che di un servitore.
Giunti sul luogo, i nuovi viaggiatori non si negavano alcuno dei piaceri che la meta offriva.
La durata del Grand Tour era inizialmente fissata in tre anni, ma nella maggior parte dei casi non scendeva sotto l’anno e anche questo contribuiva a farne una pratica socialmente blindata.
È stato calcolato che ogni anno trascorso all’estero da un giovane aristocratico comportasse per la famiglia un esborso equivalente a quattro milioni di euro odierni.
Spesso per molti young gentlemen era un’occasione per spassarsela allegramente lontano dalla sorveglianza familiare, anche se il ruolo del tutore, figura di controllo voluta dai genitori che conoscevano i loro polli, non si limitava certo all’orientamento culturale.
In termini di corruttela morale le cose non andavano meglio nella nobiltà italica. Verso la metà del Settecento nel Giorno, il poemetto didascalico con cui il poeta italiano Giuseppe Parini richiamava il giovin signore alle proprie responsabilità morali e civili, si ricorda che durante i viaggi in Francia e in Inghilterra l’aristocratico milanese, più che allo studio si sarebbe dedicato ai piaceri dei sensi e al gioco, con uno zelo che avrebbe impresso i suoi segni su di lui: il riferimento è al mal francese e ai debiti.
Ha scritto una quarantina di libri pubblicati dai maggiori editori, insegna all’università, è editorialista del Corriere della sera, ha scalato migliaia di cime sulle Alpi e fuori, ha viaggiato ai quattro angoli del mondo. Ed è amico di Earth Viaggi.
Franco Brevini inizia la sua collaborazione con il nostro sito, dove alternerà i suoi racconti sui viaggi che ha compiuto a riflessioni sul muoversi nel mondo ieri e oggi.
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