Il masala è una mistura di spezie naturali dalle caratteristiche molto diverse tra loro: coriandolo, cumino, cardamomo, pepe nero, semi di finocchio, senape, chiodi di garofano, peperoncino e curcuma. Queste spezie, miscelate sapientemente ed in modo equilibrato tra loro, sanno dar vita e sapore a molti piatti della gastronomia orientale.
Il masala, parola che deriva dal persiano “maṣālih”, cioè “ingredienti”, è da considerare l’essenza della gastronomia indiana: non solo perché rappresenta la base di ogni creazione culinaria locale, ma anche perché riflette la ricchezza e la varietà culturale, etnica, geografica, storica dell’India stessa.
Assaporare le pietanze dell’India è come tracciare un percorso di viaggio nei suoi immensi territori, partendo dalle alte vallate himalayane fino alle coste meridionali bagnate dal Mar Arabico.
In alta montagna, al confine col Tibet e lungo la valle dell’Indo, la natura non è generosa con gli abitanti del Ladakh: la loro cucina è essenziale, energetica, si basa su zuppe calde come la thukpa, un denso brodo di patate, barbabietole, fagioli, pezzi di pollo e montone, con riso e piadine di farina ad accompagnare il tutto. Una giornata di meditazione al monastero di Thiksey non può che cominciare con una tazza bollente di gurgur chai, un tè verde molto forte, condito con burro e sale, che prende il nome dal caratteristico suono dell’acqua durante la bollitura.
Le vaste pianure dell’India settentrionale, quelle intorno a Delhi, del Punjab e del Rajasthan, sono state storicamente terre di passaggio e di grandi invasioni: il carattere della gente, i tratti somatici, le forme culturali come la danza e la musica, nonché le opere architettoniche del passato come il monumentale Taj Mahal, nei secoli si sono miscelati, sfumati e armonizzati, esattamente come le spezie del masala. I mercanti provenienti dall’Europa e dal Medio Oriente lungo le vie carovaniere trasportavano con sé pietre preziose, tessuti raffinati, idee innovative, ma anche spezie e cibi esotici. Ugualmente gli imperatori moghul di origine araba, insieme alla propria religione, portarono e imposero in India tradizioni culturali e gastronomiche tipiche delle loro zone di provenienza.
La cucina dell’India del Nord è fatta di sapori forti, nasce al sole del deserto del Thar sotto i cui raggi i peperoncini vengono lasciati ad essiccare, perdono i loro umori ma conservano il fuoco che andrà poi a insaporire molti piatti della cucina rajasthana.
Ogni regione dell’India propone il proprio thali, cioè letteralmente un “vassoio” contenente un intero pasto suddiviso in tazze (katoris) da cui attingere rigorosamente a mani nude: la quintessenza della cucina del Nord è la lenticchia, detta daal, paragonabile forse alla pasta italiana per la quantità e la qualità di varianti con cui viene cucinata e proposta; per tradizione religiosa, molti indiani sono vegetariani e le lenticchie insieme al riso byriani (cioè al vapore) e alle piadine (in tutte le sue forme: chapati, roti, naan) rappresentano la base di un pasto tipico. Il thali viene arricchito con alcune salse a cui attingere per insaporire i cibi, tra cui le varie chatni (cioè condimenti “chutney” agrodolci a base di frutta o verdura e zucchero) e gli intingoli a base di yogurt con l’aggiunta di foglioline di menta fresca tritata.
La mucca in India è simbolo di benessere, da secoli aiuta nei lavori agricoli, fornisce nutrimento grazie al latte e ai suoi derivati e anche combustibile grazie ai suoi escrementi accuratamente raccolti ed essiccati. Non sorprende che gran parte degli indiani non mangi carne di bovino: la tradizione religiosa si fonde da secoli al buon senso, vi immaginate più di un miliardo di persone che alleva e consuma mucche?
Le risorse agricole del Paese si esaurirebbero in pochi decenni….! Ma chi, pur rispettando “the holy cow”, gradisce gustarsi altri tipi di carne, la cucina locale offre un’infinità di piatti a base di pollo, montone, agnello e più raramente suino.
Nel Nord dell’India, il più antico e tradizionale metodo di cottura delle carni è rappresentato dal forno tandoori, consistente in una campana d’argilla rovesciata (spesso parzialmente interrata) in cui la brace sul fondo cuoce uniformemente i cibi introdotti. Il forno tandoori viene utilizzato prevalentemente per arrostire le carni che vi vengono introdotte su lunghi spiedini (kebab), ma anche le verdure (pomodorini, cipolle, patate…) e le piadine; queste ultime vengono letteralmente “stampate” sulle pareti del forno e lasciate scaldare fino a diventare fragranti e l’abilità del cuoco consiste nel recuperarle un attimo prima che si stacchino da sole e cadano nella brace.
Man mano che si percorre il subcontinente indiano e si scende verso il Sud, le tradizioni gastronomiche cambiano ed interpretano localmente i cardini basilari della cucina nazionale.
Ogni regione propone il proprio thali assemblando gli ingredienti locali secondo innumerevoli variazioni; per esempio in Maharastra, la regione di Mumbai, sia le bancarelle per strada che i raffinati ristoranti urbani alla moda propongono un piatto tipico molto apprezzato, il pav bhaji, una sorta di passato di verdure speziato accompagnato da un soffice panino al burro.
Nell’India del Sud la cucina è influenzata dal clima tropicale e dalla presenza del mare: gli ingredienti sono freschi e i raccolti abbondanti grazie alla maggior presenza di acqua, le risaie si estendono tra il mare e le “backwaters” del Kerala, i sapori si addolciscono e sono meno piccanti rispetto al Nord.
I pescatori di Kochi usano ancora le antiche reti quadrate cinesi per catturare il pesce fresco, oppure solcano le acque del mar Arabico per portare sulle tavole sardine, sgombri, gamberi ecc.
Il latte di cocco è molto diffuso da queste parti e contribuisce alla preparazione di molti piatti che spesso fanno uso di verdure e frutta fresche (come le banane, le cui foglie vengono frequentemente utilizzate per decorare le pietanze), accompagnati da riso basmati.
Forse uno dei piatti più famosi e diffusi in Karnataka, Kerala e Tamil Nadu, pur con varianti locali, è il masala dosa, una pastella di lenticchie e riso fritta e farcita a piacimento con verdura, carne, pesce, formaggio.
Le colline che da Munnar e Peryar scivolano dolcemente fino al mare ospitano poi delle immense piantagioni di tè, grazie al microclima favorevole di queste altitudini: furono i britannici ad intraprendere alla fine dell’Ottocento il processo di produzione di tè e tuttora questa bevanda ha un larghissimo consumo in India, a colazione, ma anche alla fine dei pasti o durante la giornata. Una versione molto tipica e gustosa è il masala chai, cioè un tè nero insaporito con il latte e aromatizzato con un pizzico di spezie (tra cui zenzero e cardamomo).
L’India del Sud, grazie alle sue ampie risorse naturali, ha fatto gola (letteralmente) a molte potenze coloniali europee e in queste regioni strategicamente affacciate su due mari si sono succeduti protettorati e comunità mercantili di varie nazionalità. Questo masala di culture ha lasciato delle forti influenze anche sulla gastronomia locale, basti pensare alla presenza olandese e portoghese a Kochi in Kerala o a quella francese a Pondicherry in Tamil Nadu.
La Gran Bretagna è però la nazione che più diffusamente e più a lungo ha dominato l’India: in campo gastronomico gli inglesi non avevano molto da insegnare ed imporre agli indiani e per questo prevalentemente si sono fatti loro influenzare dalla cucina locale, portando nella madrepatria ingredienti e ricette imparate localmente. L’esempio più famoso di questo masala gastronomico è il curry: nacque in Tamil Nadu come kari, una densa salsa speziata destinata ad accompagnare carni, riso e verdure stufate, venne adottata dai Portoghesi e poi dagli Inglesi che reinterpretarono e diffusero il curry in patria; invertendo la proporzione degli ingredienti, la salsa indiana che insaporiva pollo e riso divenne, con l’introduzione del peperoncino scoperto in Sudamerica, uno stufato inglese piccante di pollo con un po’ di riso d’accompagnamento.
Oggi il curry è una pietanza gustata e cucinata in tutto il mondo e, grazie agli oltre 9000 ristoranti indiani, bengalesi e pakistani presenti nel Regno Unito, è stato recentemente riconosciuto come uno dei piatti nazionali britannici.
Altri cibi e bevande fecero il percorso inverso dalla Gran Bretagna all’India, tra queste la birra: George Hodgson, un mastro birraio che riforniva le truppe britanniche di stanza oltremare, riuscì all’inizio dell’Ottocento a produrre una birra leggermente ambrata ad alta fermentazione (pale ale) che, grazie al robusto impiego di luppolo del Kent appena colto, fosse in grado di resistere ai 6 mesi di viaggio per mare, in barili di legno…. nacque così l’India Pale Ale (IPA).
E’ opinione diffusa che l’India non sia adatta ad essere visitata con i bambini ed erroneamente molti pensano che il cibo locale sia la causa principale: troppo speziato e piccante per essere apprezzato dai piccoli viaggiatori. In realtà la ricchezza e la varietà della cucina indiana consentono di trovare tranquillamente e in ogni regione qualche pietanza e bevanda conforme ai gusti dei bambini.
I samosa, per esempio, sono piccoli snack apprezzati da tutti i bimbi indiani che li divorano a merenda e perfetti anche per gli stomaci affamati dei giovani visitatori: fagottini ripieni di verdure e/o di carne tritata, di forma triangolare, da immergere a piacimento in qualche intingolo.
Una bevanda molto apprezzata da grandi e piccoli, diffusa in tutta l’India, è il lassi, una bibita rinfrescante a base di yogurt, insaporita con un pizzico di cannella o altre spezie. Viene sorseggiata nelle calde estati indiane, in bicchieri di coccio, spesso a fine pasto grazie alle sue proprietà digestive, frequentemente frullata con frutta fresca come mango, banana o essenza di rosa.
Nel panorama gastronomico indiano non manca poi un’infinità di dolci, letteralmente da leccarsi le dita: il gulab jamun consiste in palline di latte e farina fritte, ricoperte da sciroppo; il gelato indiano, detto kulfi, ha un delicato retrogusto di spezie, soprattutto cardamomo e viene proposto in gusti tratti da ingredienti locali come pistacchio, mango e mandorle; imperdibile infine è il budino di riso indiano, conosciutissimo come kheer, una specialità a base di burro chiarificato (ghee), latte, riso, zucchero, anacardi e un pizzico di zafferano a colorare e insaporire il tutto.
Dopo tutto questo mangiare e bere, cosa manca per concludere il pasto e aiutarci a digerire tutte queste squisitezze indiane? Piccoli scrigni in legno e argento svelano una serie di cassettini traboccanti di semi di finocchio, anice e sesamo, cristalli zuccherati, scaglie di cocco e chicchi alla menta: sono i mukhwas, il modo più rinfrescante e colorato per concludere la nostra esperienza culinaria indiana.
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