Oggi sul blog abbiamo il piacere di intervistare Giuseppe Cederna. Attore poliedrico, protagonista a teatro e sul grande schermo, Cederna è un grande viaggiatore ed è impegnato in prima persona in progetti di sviluppo nel nord dell’India. Ora diamo la parola a lui, buona lettura!
Iniziamo dall’India: ci sei stato spesso e hai scritto un libro (Il grande viaggio ediz. Feltrinelli). Ce ne puoi parlare?
Ero andato in Nepal nel 1996 e nel 1997 e poi l’anno successivo in Ladakh. Senza saperlo, attratto dalle grandi montagne dell’Himalaya, mi stavo preparando al viaggio che avrebbe cambiato la mia vita.
Avevo appena terminato per Radio 3 la lettura integrale di “Kim” di Rudyard Kipling, e credo che sia stato proprio lui, quel ragazzino di strada dei primi anni del novecento, a chiamarmi e a farmi partire per le strade del subcontinente indiano.
Trovai due solidi compagni di viaggio, Alberto e Gianpiero, e una Lonely Planet ci aiutò a scoprire la meta della nostra avventura: gli hills dell’Himalaya, le montagne e le acque sacre del Garhwal. Poi tutto sembrò guidarci verso la partenza. Il viaggio aveva cominciato a muoversi dentro di noi, come un figlio. Una sera andammo a cena con lo scrittore Amitav Ghosh, lo avevo conosciuto nella giuria di un festival di cinema. Era solo un caso che fosse arrivato a Roma tre giorni prima della nostra partenza per l’India? Quella sera Amitav ci consegnò la chiave del viaggio: il numero di Mukul, un suo compagno di college, ora professore di storia all’università di Delhi. Mukul conosce il Garhwal come le sue tasche e quando lo incontrammo a Delhi, ci sembrò di vedere il viaggio nascere sotto i nostri occhi. Mukul ci consegnò le sue mappe, un elenco di luoghi ma soprattutto di nomi da incontrare sulla strada: guide, guardiani di rifugi, pastori e vecchi combattenti Gandhiani…Ma la salita alle sorgenti e alle confluenze di Madre Gange aveva in serbo per noi un terribile segreto.
Lo avremmo scoperto sulla via del ritorno, a Devprayag – la confluenza del Dio – a pochi chilometri da Rishikesh, uno dei luoghi più sacri degli Hills: la scomparsa di un’amica precipitata tra le montagne del Kosovo mentre era in missione per le Nazioni Unite. Ho dedicato quasi tre anni a scriverne la storia nel “Grande viaggio”. Meraviglia e dolore. Il viaggio ci aveva trasformato in pellegrini. Fu mia madre a darmene notizia quando le telefonai dalla strada. E fu Madre Gange a bagnare le nostre lacrime. Un caso anche questo?
L’India per te non è solo una meta di viaggio, è diventata parte di un progetto importante. Ce ne puoi parlare?
“Anche un viaggio nasce, cresce, invecchia e poi muore” avevo scritto nel mio libro. Ma quel viaggio, anno dopo anno, continua a rinascere.
Il villaggio che, grazie a Mukul, ci ospitò le prime notti sulla strada verso le sorgenti è diventato una meta familiare. Barsu: un anfiteatro di piccole case di pietra e cemento, terrazze coltivate a patate, leguminose e amaranto, arrampicato a duemila metri di altezza. Ravi, il ragazzino che quasi vent’anni fa ci accompagnò ad acclimatarci sugli alti pascoli di Barsu ora è un’esperta guida Himalayana, un amico. Non solo. E’ diventato il coordinatore di un progetto che ha dato un senso e una continuità a quel primo viaggio tra le montagne del Garhwal.
Quando, qualche anno dopo, tornammo a trovarlo ci raccontò della difficile situazione delle ragazze e dei bambini dei villaggi. “Si muore ancora e troppo spesso di parto” ci disse “abbiamo bisogno di aiuto, di formazione e prevenzione”. E così, per dare una mano ai nostri nuovi amici e ricordare Gianpiero, l’indimenticabile compagno del “Grande Viaggio” che nel 2006 ci aveva lasciato, abbiamo fondato “Una Cosa Giusta – Gianpiero Bianchi Onlus”. Un’organizzazione a sostegno della salute delle donne e dei bambini di Barsu e di un pugno di villaggi limitrofi. Dopo anni di seminari e training in ospedali specializzati sono state selezionate due ragazze, Rangeena e Vijendri, che lavorano a tempo pieno per “Una Cosa Giusta”. Formazione, igiene, prevenzione e monitoraggio delle donne in cinta e dei bambini. Sono tornato appena un mese fa per discutere con Ravi e le ragazze dei prossimi passi di “Una Cosa Giusta”. E la buona notizia è che, in questo ultimo anno e mezzo, sono state seguite circa 40 donne incinte e tutte le gravidanze sono andate a buon fine.
Grazie alla generosità di amici e sconosciuti compagni di viaggio, ogni anno, ogni mese, nei villaggi di montagna succede qualcosa di buono. E’ una piccola goccia che fa ben sperare. Potete seguirne la storia sulla nostra pagina Facebook.
Il viaggio e le montagne sono una tua grande passione. Come è iniziata?
Dobbiamo partire dalla Valtellina, dai miei antenati valtellinesi: Antonio Cederna, il mio bisnonno, era un appassionato alpinista dei gloriosi vecchi tempi. Presidente del Club Alpino Lombardo-Valtellinese agli inizi del novecento, ha misurato ed esplorato le Alpi Retiche e le Orobie collaborando alla costruzione di rifugi e sentieri in quota. Devo a lui la passione della montagna, il piacere di salire in alto e di affacciarmi da un passo o da un crinale affilato per vedere cosa c’è dall’altra parte. Abbiamo una vecchia casa di famiglia a Ponte in Valtellina dove vado da quando sono nato. E Lecco è da sempre l’anticamera del viaggio. Molto spesso una sosta per andare a mangiare nell’osteria di un amico a pochi passi dalla casa della Lucia manzoniana. Una delle grandi passioni di mio padre Antonio, il battagliero difensore del nostro patrimonio artistico e naturale.
Ma torniamo al viaggio. Al mio primo film con un personaggio degno di questo nome “Marrakech Express” di G. Salvatores. Un film on the road, dalle nebbie milanesi ai vicoli della medina di Marrakech, oltre le nevi dell’Atlante fino alle prime sabbie del deserto marocchino.
“Marrakech Express” è un ottimo esempio di come sia possibile spostarsi, sperimentare l’altrove – in altre parole viaggiare – capendo poco o nulla di quello che hai sotto gli occhi. Niente di male, succede spesso. Un giorno però può capitarci di incontrare un maestro: i nostri occhi si aprono e il cuore batte più forte. Che meraviglia scoprire il mistero delle oasi e dell’acqua invisibile del deserto! Il mio maestro di viaggio l’ho incontrato proprio nel grande deserto dell’Algeria qualche anno dopo Marrakech Express. Ebbi la fortuna di unirmi ad un gruppo di viaggiatori guidati da Pietro Laureano – architetto, studioso dalla cultura enciclopedica, inviato dell’UNESCO – uno dei maggiori esperti di zone aride e civiltà delle oasi sahariane. Pietro ci fece capire che il viaggio è ascolto, umiltà, incontro e desiderio. Più vai lontano più i tuoi passi devono essere leggeri, in punta di piedi. Noi andammo molto lontano: Algeri, Tamanrasset, Djanet, il massiccio dell’Hoggar, i Tassili degli Adjer. Tornammo inebriati dal respiro delle notti fredde e stellate, dai fuochi e dai rituali degli uomini blu, con la voglia di leggere, studiare, viaggiare ancora ma soprattutto proteggere quell’esperienza straordinaria, farla crescere dentro di noi e conservarla viva il più a lungo possibile.
Poi fu la volta di un altro film, un altro mondo. Un altro viaggio che non finisce mai: “Mediterraneo”, premio Oscar nel 1992. Uno dei luoghi radice della mia geografia umana e professionale. Da allora – da quei due mesi nell’isoletta di Kastellorizo, ma forse da molto prima, dai viaggi con i miei genitori a Creta e nel Peloponneso – il Mediterraneo continua a chiamarmi. Non posso farne a meno. L’estate scorsa sono tornato a Kastellorizo per il mio sessantesimo compleanno: trentasei amici e parenti tra cui fratelli, nipoti e una madre di novantatre anni! Una festa indimenticabile. Italiani greci: una faccia una razza.
Mi piace viaggiare anche sotto casa. Nel quartiere dove abito da sempre. Nel mercato di Testaccio a Roma. Sul Monte dei Cocci o a bordo di una panchina tra le margherite e i cipressi del cimitero degli Inglesi dietro la piramide Cestia.
In queste settimane stai portando in giro per l’Italia il tuo nuovo spettacolo. A Torino tutto esaurito per due settimane. Anche in questo caso il tema è il viaggio, anzi i viaggi, quelli “importanti”. Ce ne puoi parlare?
Sono in tournee con lo spettacolo “Da questa parte del mare”, con la regia di Giorgio Gallione. Un viaggio in quell’evento drammatico e inarrestabile di cui siamo tutti testimoni distratti e lontani: la migrazione di migliaia di famiglie, uomini donne bambini, che fuggono dalla guerra e dalla fame. Un viaggio nella poesia e nella musica di Gianmaria Testa. Un altro periplo nel Mediterraneo. Un viaggio che parla anche di noi. Quale umanità ci è ancora rimasta? Quale mondo ci meritiamo? Possiamo fare qualcosa per reagire alle nostre paure e ai nostri piccoli e grandi razzismi quotidiani?
Ma i viaggi non sono finiti. Non finiscono mai.
A gennaio riprenderò uno spettacolo che mi sta molto a cuore e racconta un altro pezzo della mia vita, l’incontro con uno dei più grandi regali del Dio degli Artisti all’umanità: “Mozart il sogno di un clown”. Per amore di Mozart tornerò a fare il clown. Tacchetti, vestiti di seta e parrucca da genio, racconterò la vita straordinaria di un piccolo grande uomo. E riuscirò anche a farvi ridere. Ma questa volta non sarò solo. Accanto a me, vestito e parruccato da genio anche lui, un grande pianista, Sandro D’Onofrio: Wolfgang Amadeus Mozart in persona. La sua musica e il suo mistero in carne ed ossa. Come non fare un salto ad incontrarlo?
Buon viaggio a tutti. E lunga vita al lupo!
Immagini per gentile concessione di Giuseppe Cederna.
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