Una città misteriosa, una civiltà antichissima e sconosciuta nel cuore del deserto dell’Iran. Scopriamo insieme Shahr-i-Sokhta.
Siamo nella regione sud orientale dell’Iran. Una terra di confine aspra e dura, stretta tra il terribile deserto del Lut e il Beluchistan. Qui, in questa area oggi inospitale, un tempo sorgeva una delle città più antiche del Pianeta.
Si chiama Shahr-i-Sokhta e in farsi significa città bruciata.
È una straordinaria testimonianza, un insediamento urbano rimasto intatto fino ai giorni nostri grazie alla sabbia salata del Lut. Per questo gli archeologi l’hanno ribattezzata la Pompei d’Oriente, per le similitudini con la nostra “città bruciata”.
Shahr-i-Sokhta prosperò durante l’età del bronzo tra il quarto e il terzo millennio avanti Cristo, per poi collassare ed essere abbandonata intorno al 2.300. Si estende su circa 150 ettari ed è strutturata come le città moderne, con quartieri residenziali, aree commerciali e zone per l’artigianato.
Per gli storici e gli archeologi Shahr-i-Sokhta ha una grande importanza.
Rappresenta infatti il passaggio cruciale da una società basata su piccoli clan e villaggi a una società urbana. Allo stesso tempo, è la testimonianza dell’emergere delle prime società complesse nell’Asia Centrale.
Shahr-i-Sokhta si trovava infatti al centro delle rotte commerciali della regione ed era un hub per gli scambi e l’agricoltura. Per questo motivo, secondo gli storici era una città ricca e sofisticata.
Lo dimostrano gli edifici, costruiti in mattoni di fango e alti fino a due metri. Le case erano inoltre riccamente decorate con motivi geometrici.
Gli archeologi non hanno invece rinvenuto nessun rilievo di forme umane o divinità. Per questo motivo si pensa che la civiltà di Shahr-i-Sokhta fosse “atea” ed egualitaria, priva di classi sociali.
Gli abitanti della città erano amanti del lusso (nell’accezione dell’età del bronzo, naturalmente), come testimoniano le tracce di pietre preziose e lapislazzuli ritrovati all’interno del sito. Tanti reperti di vita quotidiana, come piatti e bicchieri, raccontano la storia delle città, così come le tavolette in argilla con annotazioni di linee e punti che rappresentavano numeri.
Tutte quest scoperte sono state possibili grazie al fatto che la sabbia del deserto ha preservato la città, così come la lava ha permesso a Pompei di raccontare la sua storia fino ai giorni nostri.
Pompei e Shahr-i-Sokhta non sono l’unico punto di contatto tra la città bruciata e l’Italia.
Il nostro Paese ricopre un ruolo attivo negli scavi archeologici, portato avanti dal dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento in collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri.
Dopo secoli di ricchezza, Shahr-i-Sokhta iniziò un lento e costante declino a causa del cambiamento climatico.
La siccità ebbe conseguenze importanti sull’agricoltura e spostò le rotte dei commerci.
Oggi Shahr-i-Sokhta rappresenta la testimonianza più straordinaria della storia millenaria dell’Iran e dell’Asia Centrale.
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